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      Ideazione - luglio 1998UNA LEGISLAZIONE INSUFFICIENTE
 di Antonio
      Palma
La
      costituzione dell’Osservatorio sul Mezzogiorno del Centro Ideazione è
      evento recente - il dies natalis risale al 13 febbraio di quest’anno -
      che ha però già dimostrato le ampie potenzialità di sviluppo e la
      fecondità del progetto. I documenti prodotti dal gruppo di intellettuali
      raccoltisi intorno a quella idea, il primo dossier titolato "La
      ragnatela dell’assistenza", e gli importanti contributi pubblicati
      sui numeri uno e tre della rivista Ideazione, hanno in larga misura
      delineato lo scenario di riferimento nell’ambito del quale
      l’Osservatorio intende orientare la sua riflessione sulle politiche
      meridionaliste, rendendo in particolare esplicito l’approccio al tema,
      intessuto della forte concretezza di chi non vuole farsi carico
      dell’universo dei problemi, mediandoli però astrattamente e per
      sequenze meramente teoriche. La
      sterminata letteratura prodottasi nell’ultimo secolo sul Mezzogiorno, le
      ampie indagini statistiche, i modelli econometrici elaborati con grande
      sofisticatezza costituiscono l’ampio esistente retroterra cui
      logicamente, comodamente e tranquillamente si può fare capo, senza che si
      veda la necessità di produrre altro brillante pensiero. Semplicità,
      concretezza e soprattutto capacità di concludere con un esito
      verificabilmente tangibile i processi, cui si dà inizio, costituiscono le
      modalità d’azione dell’Osservatorio, che intende, in sostanza,
      fornire una consulenza qualificata a quanti - operatori pubblici e privati
      - hanno un problema di intervento nell’area territoriale interessata.
      Naturalmente, il gruppo non intende abbrutirsi nell’esercizio di una
      pura pragmatica, ma ha la ferma intenzione di partecipare al complessivo
      dibattito meridionalistico, così languente ed anche psicologicamente
      minoritario, sforzandosi di formulare proposte non del tutto banali. Chi
      scrive, dal suo punto di vista - quello dello storico-giurista impegnato
      sul terreno professionale nell’impervio settore delle normative di
      profilo prevalentemente amministrativo -, ritiene opportuno far emergere e
      porre come centrale il tema delle modalità di determinazione della
      legislazione e degli altri livelli di normazione nel Mezzogiorno: più
      concretamente, della qualità della legislazione regionale, degli statuti
      e regolamenti degli enti locali nella parte della nazione in cui le forme
      di esercizio della funzione amministrativa non appaiono in misura
      rilevante coerenti con le necessità sociali. Da
      lungo tempo appare consolidata l’opinione di una generale arretratezza
      ed inefficienza della pubblica amministrazione meridionale. Peraltro, non
      sembra appartenere al solo Mezzogiorno l’esclusiva di un sistema di
      amministrazione inadeguato, poiché l’Italia tutta è governata con
      scarsa efficienza. Il problema di una revisione delle regole di
      amministrazione è dunque nazionale: tuttavia, nella pur variegata realtà
      del Sud, caratterizzata da isole o distretti di rilevante vitalità
      economica - soccorrono in proposito le illuminanti considerazioni di
      Alessandro Napoli sul n. 1/98 di Ideazione - a fronte di aree di grave
      depressione, l’inefficienza istituzionale non soffre di discontinuità,
      connotando il complessivo articolarsi dei diversi livelli di
      amministrazione delle singole Regioni. L’analisi,
      per attingere ad una specificità più marcata in rapporto alle realtà
      meridionali, deve allora articolarsi individuando un livello, più
      generale, che concerne gli strumenti che il legislatore nazionale ha
      attivato di recente per pervenire ad una riforma incisiva
      dell’amministrazione pubblica; più specifico appare invece valutare
      l’impatto delle nuove forme di organizzazione amministrativa,
      prefigurata dal legislatore, sulle concrete realtà istituzionali del
      Meridione e verificare se il risultato finale non sia un peggioramento
      delle già descritte considerazioni in cui versa la p.a. in questa parte
      del Paese. Non
      è certamente possibile illustrare nei dettagli, in questa sede, le
      modalità prescelte fondamentalmente in due provvedimenti di legge, noti
      come Bassanini uno e due - leggi 59 e 127 del 1997 - con i quali
      nell’ambito di un più ampio disegno iniziatosi a prefigurare con la
      legge 142/90 sulle autonomie locali e 241/90 sul procedimento
      amministrativo, si è posta mano ad un ampio processo di semplificazione,
      delegificazione, decentramento delle funzioni amministrative, con la loro
      attribuzione, in virtù del principio di sussidiarietà, ai livelli più
      bassi delle autonomie locali. Un processo condotto con coerenza formale e
      che non potrà non avere come esito finale - se consequenzialmente
      perseguito - la sostanziale nullificazione dello Stato nazionale, stretto
      tra un potere comunitario sempre più invasivo ed egemonizzante, e livelli
      autonomistici locali fortemente coesi, in quanto collegati a coinvolgenti
      momenti di identità collettiva. Altri
      princìpi ispiratori della complessiva riforma d’attuazione concernono
      la privatizzazione del pubblico impiego, l’individuazione della
      dirigenza amministrativa come centro di determinazione della gestione in
      qualche misura indipendente - ma non nella rilevante misura che si vuole
      accreditare - dal potere politico di indirizzo; la centralità del
      risultato come parametro di misura dell’efficienza della stessa gestione
      amministrativa. Una
      pubblica amministrazione che si riconverta, sia pure problematicamente, in
      termini aziendalistici e si fondi sulla ricerca del risultato coerente con
      le finalità programmate e le risorse impiegate, reperite non solo
      mediante trasferimento ma anche soprattutto per autofinanziamento,
      necessita di personale e dirigenti di preparazione adeguata, che esprimano
      una cultura giuridica consapevole dei nuovi obiettivi dell’azione
      amministrativa. I
      processi di formazione, cui è dedicato ampio spazio nella Bassanini tre
      in corso di approvazione, sono, di conseguenza, essenziali; ma sono anche
      lo snodo fondamentale intorno al quale nel Mezzogiorno rischia di arenarsi
      l’intero processo riformatore. Come è noto, l’importanza del
      risultato come indicatore essenziale dell’efficienza dell’azione
      amministrativa è caratteristica precipua dei procedimenti comunitari di
      erogazione dei finanziamenti di sostegno delle aree depresse; ed è
      altrettanto nota l’incapacità di spesa delle Regioni meridionali,
      proprio per la difficoltà di ancorare i procedimenti ai risultati. Ora,
      il fenomeno rischia di allargarsi alla gestione complessiva delle funzioni
      amministrative. Molte
      sono le ragioni anche culturali del fenomeno, ma appare prevalere quella
      collegata alla natura e alla funzione del pubblico impiego nel
      Mezzogiorno: esso infatti sembra essere l’area di elezione per le
      aspirazioni della piccola e media borghesia, che solo attraverso
      l’occupazione delle pubbliche funzioni può aspirare ad un ruolo sociale
      di direzione sproporzionato rispetto alla posizione più concretamente
      adeguata al ruolo esercitato nelle dinamiche della formazione
      economico-sociale. Il
      pubblico impiego è stato ed è un amplificatore di ruolo per i ceti
      dirigenti meridionali, altrimenti confinati in una posizione duramente
      subalterna. Come tale ha costituito una posizione di stato e non una
      funzione di servizio, essendo in ogni caso del tutto irrilevante la qualità
      e l’efficacia del servizio reso. In particolare, la pubblica
      amministrazione locale ha mascherato in una certa misura la sua
      strutturale deficienza, poiché lo Stato con le funzioni
      centralisticamente esercitate ha svolto una modesta supplenza, anche essa
      carente per la piccola dimensione di efficienza assicurata. Con
      l’amplissimo decentramento realizzato, accompagnato ad una vasta
      semplificazione ed a penetranti forme di partecipazione, l’ombrello
      Stato non è più aperto e di fronte ai cittadini si pongono come diretti
      interlocutori gli enti territoriali e le Regioni meridionali con il loro
      carico di inefficienze e ritardi, senza il supporto di una rete di
      relazioni sociali ed economiche, che in qualche modo quelle lacune colma
      nelle Regioni settentrionali a più avanzato sviluppo. Ed
      allora anche le modalità di analisi e le conseguenti forme di intervento
      debbono meglio articolarsi. Non sono più sufficienti sommarie descrizioni
      dello stato delle strutture amministrative meridionali, sulla scorta di
      puri parametri esterni etero-organizzativi. I problemi della p.a. nel
      Mezzogiorno non si risolvono soltanto recependo i metodi organizzativi
      bocconiani e formando i dirigenti con i corsi di formazione in prestigiose
      università. Bisogna, in primo luogo, elaborare indicatori di valutazione
      della qualità delle fonti normative: è necessario, cioè, spostare
      l’attenzione dalla fase esecutiva di norme etero-imposte, a quella della
      posizione delle norme stesse, coerentemente ai vigenti princìpi di delega
      alle comunità locali, rese autonome da un compiuto sistema di
      decentramento, ormai molto vicino ad un reale federalismo. In
      sostanza, la specificità del Mezzogiorno sembra risiedere non tanto e non
      solo in una emergenza istituzionale, comune a tutta la nazione, ma anche e
      soprattutto in una emergenza ordinamentale, per l’incapacità di Regioni
      ed enti locali di gestire normativamente la propria autonomia elaborando
      efficaci forme giuridiche di regolamentazione. Di qui l’opportunità di
      valutazione della qualità normativa, sulla scorta di appropriati
      parametri. I possibili indicatori di valutazione della legislazione
      regionale potrebbero riguardare: 1) l’esistenza di leggi fondamentali, e
      la loro quantità in rapporto alla consueta alluvione di
      leggi-provvedimento minute ed inutili; 2) la presenza di leggi che non
      realizzino a loro volta un paradossale centralismo regionale a scapito
      degli enti territoriali di livello minore; 3) il numero complessivo delle
      leggi regionali, che deve essere limitato, senza abuso della funzione
      legislativa; 4) i settori di intervento della legislazione regionale, che
      deve privilegiare l’assetto del territorio (urbanistico, ambiente); le
      opere pubbliche; le forme di integrazione di procedure (conferenze di
      servizio, accordi di programma; la concentrazione e la semplificazione dei
      procedimenti); i settori produttivi con leggi-quadro di organizzazione e
      non di mera e clientelare assistenza; 5) le garanzie di democrazia e di
      partecipazione. Un
      ulteriore indicatore di qualità potrebbe essere costituito dalla presenza
      di adeguati uffici legislativi; dalla qualità della scrittura dei testi
      legislativi; dal livello di conoscenza comparata delle diverse
      legislazioni e del grado della loro integrazione. Analoga valutazione
      potrebbe condursi sulle fonti statutarie e sui regolamenti degli enti
      locali. Preliminare è una loro compiuta ricognizione; le dette fonti sono
      oggi quasi inconoscibili, eppure esse condizionano i singoli rapporti
      giuridici, spiegando efficacia regolatrice diretta sulle posizioni incise. Alla
      ricognizione aggiornata potrebbe seguire il loro inserimento in idonee
      reti informatiche, garantendone la conoscenza e rendendo possibili analisi
      comparative. La complessiva informatizzazione del sistema delle fonti -
      leggi regionali, statuti e regolamenti degli enti locali - avrebbe
      l’effetto immediato di sprovincializzare il sistema, disancorandolo dai
      localismi. I temi sommariamente trattati sono, evidentemente, di grande
      impegno e complessità. Sono proposti in questa sede come ipotesi di
      lavoro, appunti per così dire solo abbozzati che la componente giuridica
      dell’Osservatorio intende sviluppare, perseguendo, con la pervicacia
      delle buone intenzioni ed in collaborazione con economisti e sociologi, la
      tentazione di costruire un meridionalismo fatto di cose concrete, semplici
      e per questo forse inquietanti, come indubbiamente lo è l’uovo di
      Colombo. Antonio
      Palma
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