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      Ideazione - gennaio 2000A CHI SERVE SVILUPPO
      ITALIA
 di Adriana Poli Bortone
Quando
      con decreto legislativo n.1 del 9 gennaio 1999 si procedette al riordino
      degli enti e delle società di promozione e all’istituzione della società
      Sviluppo Italia non poche furono le perplessità che espressi, come di
      consueto, ad alta voce. A parte ogni considerazione sulla istituzione di
      una holding nelle mani del governo, la preoccupazione era riferita, in
      massima parte, al ruolo decisamente residuale degli enti locali. I diritti
      dell’azionista di Sviluppo Italia, infatti sono esercitati
      sostanzialmente dal ministero del Tesoro; le autonomie locali possono
      partecipare solo alla sottoscrizione di aumenti di capitale sociale, e
      comunque, nel limite complessivo di un quarto del capitale medesimo.
      
       Con
      decreto istitutivo il capitale sociale della società Sviluppo Italia è
      sostenuto con 35 miliardi (dei 50) del Fondo rotativo per il finanziamento
      dei programmi di promozione imprenditoriale nelle aree depresse, e parte
      del fondo medesimo viene riservata per il finanziamento di programmi
      presentati da Sviluppo Italia. Le attività del gruppo Sviluppo Italia
      hanno particolare – ma non esclusivo – riferimento al Mezzogiorno ed
      alle aree depresse, ma con sola direttiva del presidente del Consiglio
      possono essere ammessi nuovi interventi in territori diversi da quelli
      riconosciuti come aree depresse.
      
       I
      rapporti tra pubbliche amministrazioni e la Sviluppo Italia sono
      disciplinati da apposite convenzioni, quindi al di fuori di procedure di
      evidenza pubblica, e con evidente infrazione delle norme antitrust,
      tant’è che risulta strano come ancora il professor Tesauro non sia
      intervenuto a tutela della libera conoscenza. Né è sufficiente l’aver
      inserito nel nuovo decreto che i membri del Consiglio di amministrazione
      non possano evere rapporti di lavoro o incarichi di altra natura con le
      amministrazioni dello Stato. Rilevai già a suo tempo come, con tale
      impianto, si palesassero diversi profili di incompatibilità attuali e
      potenziali, con il diritto comunitario:
      
       1)
      fondi pubblici di origine comunitaria specificamente destinati al
      finanziamento dei programmi di promozione imprenditoriale nelle aree
      depresse vengono utilizzati quale capitale iniziale (di rischio) e quale
      flusso di liquidità (finanziamento) in favore di un unico soggetto avente
      natura formalmente privatistica (Spa) ma in mano governativa, con
      possibilità di utilizzo per interventi diversi da quelli cui i fondi sono
      preordinati e comunque con nessuna effettiva possibilità di influenza da
      parte delle realtà locali cui tali fondi sarebbero originariamente
      destinati;
      
       2)
      considerata la potenziale onnicomprensività delle funzioni attribuite al
      gruppo Sviluppo Italia e non essendovi previsione di distinzione contabile
      tra i rami di attività svolta per soddisfare esigenze di interesse
      pubblico ed attività in regime d’impresa, le società operative del
      gruppo Sviluppo Italia si troveranno ad avere una posizione dominante sul
      mercato dei servizi allo sviluppo e dei servizi finanziari, potendo altresì
      godere del privilegio di sottrarsi alle procedure di affidamento ad
      evidenza pubblica; in tal modo il gruppo Sviluppo Italia diverrà
      interlocutore unico e privilegiato dei soggetti interessati alle predette
      attività, a discapito di soggetti imprenditoriali privati nuovi o già
      operanti nei medesimi servizi;
      
       3)
      il gruppo Sviluppo Italia è struttura dotata di personalità giuridica di
      diritto privato e della relativa capacità nei confronti della quale, di
      conseguenza, vengono meno le cautele e le garanzie che sono presenti
      nell’organizzazione di un soggetto di diritto pubblico e nello
      svolgimento della relativa attività (controllo parlamentare, sindacato
      contabile, evidenza pubblica degli affidamenti, concorsualità delle
      assunzioni).
      
       Se
      si dovessero tirare le somme dell’attività di Sviluppo Italia, ad un
      anno ormai dalla istituzione, il risultato sarebbe a dir poco deludente.
      Il cronogramma indicato (30 giugno: avvio delle operazioni di riordino
      delle otto società confluite in Sviluppo Italia; 30 settembre: termine
      delle operazioni di riordino) è completamente saltato. Per di più le due
      società costituite il 10 giugno (Progetto Italia ed Investimento Italia,
      una delle quali affidata al figlio dell’onorevole Cossutta, Dario) non
      hanno nemmeno fatto in tempo a divenire operative che con decreto del 2
      dicembre scorso sono state fuse. Il tutto in una logica non certo di
      razionalizzazione di risorse, quanto piuttosto di accertamento di potere
      che prescinde dagli interventi reali sul territorio meridionale. Una
      ricerca di equilibri politici interni che ha visto il suo apice
      nell’ampliamento a sette del Cda con la nomina di Cossutta e di una
      giovane siciliana del consorzio Pelcal di Catania, molto vicina, pare, al
      gruppo di Minniti e comunque ex Iri. Il 16 dicembre 1999 l’assemblea
      straordinaria di Sviluppo Italia finalmente aveva deliberato l’aumento
      di capitale sociale recuperando il valore delle valutazioni peritali solo
      di Ig, Itainvest, Insud, Ribs, Finagra con esclusione di Ipi, Spi, Enisud
      e delle quote dei privati, perché non trasferite. L’operazione è
      finalizzata solo all’aumento del Cda da cinque a sette membri.
      Completato con chi altro? Nel frattempo le società che avevano missioni
      ben individuate, personale sufficientemente preparato, risorse
      finanziarie, talora notevoli (Ribs, Itainvest) si sono, finora, solo viste
      espropriate di risorse e collocate nel limbo dell’incertezza operativa,
      mentre Sviluppo Italia con fondi della Legge 208 (promozione
      imprenditoriale nelle aree depresse) ha finanziato in primo luogo il
      Progetto Biotecnologie, nato dalla cooperazione col Centro Biotecnologie
      avanzate di Genova, per sei anni di percorso progettuale, quindi tre
      progetti pilota: 1) il Polo multimediale di Napoli, con Asi, Regione
      Campania, Comune di Napoli, Alenia aerospazio, Cisi; 2) un secondo Centro
      m   ultimediale,
      incubatore d’impresa a supporto gestionale per le aziende dell’area
      campana del settore Ict, che non si comprende bene cosa dovrebbe fare ma
      il professor Bianchi assicura che sia «diretto ad incrementare
      l’imprenditorialità nel settore dell’informazione e a formare figure
      professionali emergenti con sbocco immediato nel mercato del lavoro»; 3)
      un Centro servizi per le Pmi, in collaborazione con l’Api di Napoli, il
      Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione della Seconda Università
      di Napoli.
      
       Ma
      il top della creatività di Sviluppo Italia è il Progetto integrato Golfo
      degli Angeli per lo sviluppo dell’area meridionale della Sardegna: il
      professor Meli ha trovato il modo per trasformare, col capitale di
      Sviluppo Italia, il Consorzio per lo sviluppo turistico, culturale ed
      economico, asfitticamente nato l’8 maggio 1998, in una società mista
      pubblico-privata Golfo degli Angeli Spa. I tanti lavoratori creati in un
      anno di indefessa attività della premiata Sviluppo Italia sono ora in
      spasmodica attesa del Cd-Web, la cui diffusione era stata assicurata –
      sempre da Bianchi – per il 20 dicembre.
      
       In
      definitiva il governo della sinistra, che doveva esaltare le autonomie, di
      fatto le ha compresse riducendo ad unum quegli enti di promozione del
      Mezzogiorno che, almeno in buona parte, una loro missione, ben
      individuata, l’avevano. Per di più, si è dotata di un Consiglio di
      amministrazione rigorosamente di parte, che attualmente non vede alcuna
      rappresentanza degli enti locali. E non si venga a dire che si debba
      attendere l’aumento del capitale sociale, perché ben si sarebbe potuto
      trovare uno spazio nel decreto legislativo del 26 novembre 1999. Di fronte
      a tanto sfacelo e sperpero di risorse umane e finanziarie la conclusione
      non può essere che il constatare ancora una volta un disegno proprio
      della sinistra, che è quello di impadronirsi, con ogni mezzo, dei centri
      di potere. E dal suo punto di vista fa bene a farlo, considerati i tempi
      (ci auguriamo) ristretti che ormai le rimangono prima che Berlusconi
      ritorni al governo.
      
       Adriana
      Poli Bortone
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