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 [IL DOCUMENTO DI BARI]
 Il disegno di Legge finanziaria 2003
 
 La relazione tecnica allegata al disegno di legge presentato dal 
              Governo espone una manovra di riduzione dell’indebitamento netto 
              per 9,5 miliardi di euro: un saldo finale che, per 8 miliardi di 
              euro, viene coperto dalle entrate, stimate, del concordato fiscale 
              e della proroga delle norme relative all’emersione delle attività 
              estere non dichiarate. Entrambe queste due voci di entrata sono 
              assimilabili ad una sorta di imposta patrimoniale: esse derivano, 
              infatti, dalle giacenze liquide, o dalla capacità di 
              indebitamento, dei privati che hanno realizzato vantaggi 
              patrimoniali attraverso flussi di reddito sottratti 
              all’imposizione fiscale negli anni precedenti. Poiché quei flussi 
              si sono trasformati in patrimonio, liquido o reale, dei privati, 
              l’imposta che li colpisce e’, nei fatti, una “patrimoniale” che 
              riduce l’indebitamento netto della finanza pubblica.
 
 L’ultimo, e residuale, milione e mezzo di euro, rispetto al 
              traguardo macroeconomico di 9,5 miliardi di euro, deriva da una 
              combinazione di interventi. Le minori spese incidono per 8 
              miliardi di euro; la gran parte dei quali si risolve in due voci 
              aggregate:
 -5,815 miliardi di euro sono tagli alla spesa corrente che, per 
              2,250 miliardi di euro sono decantati dal patto di stabilità 
              interno con le amministrazioni degli enti pubblici territoriali 
              mentre per altri 2,473 miliardi di euro sono tagli al sistema 
              della sanità o ripristino di ticket sulle prestazioni relative.
 -2,227 miliardi di euro dipendono da minori fondi per gli 
              investimenti degli enti locali (0,5 miliardi) e da minori fondi 
              per mutui anas (0,167 miliardi) mentre 1,4 miliardi sono l’effetto 
              di un ribaltamento patrimoniale degli incentivi alle imprese.
 
 I contributi alle imprese diventano crediti verso le medesime 
              imprese per 1,4 miliardi di euro: in altre parole, rimane 
              un’uscita di cassa ma viene contabilizzata come un credito verso 
              le imprese e, dunque, non concorre al calcolo del fabbisogno in 
              termini di competenza. Anche in questo caso, tuttavia, essa 
              dovrebbe essere compresa nelle dimensioni del nuovo indebitamento, 
              che si calcola per cassa e non per competenza. A meno che la 
              trasformazione delle procedure, e dei tempi necessari 
              all’inefficiente macchina amministrativa dello Stato e delle 
              regioni, per metabolizzare quella trasformazione, non siano, come 
              ritengono molti, tanto lunghi da dilatarsi ben oltre il 31 
              dicembre del 2003.
 
 La manovra fiscale in senso stretto, cioé le riduzioni di irpef 
              sui redditi più bassi e le agevolazioni all’agricoltura, in uno 
              con una lieve contrazione del gettito irpeg, quota 4,4 miliardi di 
              euro in termini di minori entrate. A queste minori entrate, 
              infine, bisogna aggiungere maggiori spese per 2,1 miliardi di 
              euro; le voci più rilevanti delle quali sono tre:
 - 0,818 miliardi di euro per i salari del pubblico impiego;
 - 0,465 miliardi di euro per gli enti locali, in termini di spesa 
              corrente, che, tuttavia, hanno “già dato”, in termini di minori 
              accantonamenti al loro fondo per investimenti, 0,5 miliardi di 
              euro;
 - 0,345 miliardi di euro per maggiori spese in conto capitale.
 
 Tiriamo le somme per capire winners and losers di questa partita 
              se la conclusione parlamentare dell’iter della legge finanziaria 
              fosse identica alle ipotesi descritte nell’edizione originaria del 
              disegno di legge.Incassano meno, perché lo Stato spende di  
              meno, il sistema della sanità e della sicurezza sociale mentre si 
              rallentano le nuove assunzioni nella pubblica amministrazione, 
              cioé vengono penalizzati i giovani in cerca di occupazione anche 
              se, per loro, potrebbe essere, paradossalmente, una opportunità 
              non dover lavorare per la macchina inefficiente della pubblica 
              amministrazione.
 
 La minore spesa in conto capitale, per due terzi, è un giroconto 
              dei contributi a crediti verso le imprese e potrebbe anche non 
              essere proprio un uscita se la burocrazia, come è probabile, non 
              riesce a modificare rapidamente le procedure di valutazione ed 
              erogazione: adattandole alle nuove norme. Sugli incentivi alle 
              imprese, tuttavia, non si dovrebbero fare previsioni perché 
              sembrano essere il tema su cui la conclusione del percorso 
              parlamentare potrebbe differire molto dalla struttura iniziale 
              della manovra. Solo a legge approvata si potrà tracciare un 
              bilancio dei minori versamenti fiscali – effettivi – da parte 
              delle imprese e dei maggiori fondi disponibili – potenzialmente – 
              in termini di incentivi. Per ora le maggiori entrate, da minore 
              pressione fiscale sui redditi, sono 4,3 miliardi di euro, che 
              rimangono, prevalentemente, nelle tasche delle famiglie a basso 
              reddito.
 
 Dunque, per cassa, c’e’ una disponibilità di 3,721 miliardi di 
              euro: se la burocrazia non riesce effettivamente ad erogare 1,4 
              miliardi di contributi/crediti verso le imprese. Per competenza, 
              invece, quella disponibilità è compensata per definizione dalla 
              conversione in crediti. Le maggiori spese, come già detto, 
              assorbono 2,1 miliardi di euro e residuano, quindi, circa 1,6 
              miliardi di euro che, sommati ai proventi della “patrimoniale” 
              (concordato e rimpatrio dei capitali), generano la riduzione 
              attesa dell’indebitamento (per competenza, cioé rilevante ai fini 
              del patto di stabilità) per 9,594 miliardi di euro.
 
 Si osservi che, in materia sanitaria, un milione di euro verrà 
              pagato dai ticket ripristinati, quindi insiste sul reddito delle 
              famiglie ma non solo di quelle più povere, mentre per 0,7 miliardi 
              di euro è il mancato incasso delle imprese farmaceutiche grazie al 
              mancato rinnovo del prontuario farmaci. La conclusione è evidente: 
              al netto della “patrimoniale” si tratta di una modesta 
              redistribuzione interna di costi e di benefici: non ci sono veri 
              sconfitti né veri vincitori ed i saldi, quasi pareggiati tra le 
              parti, mostrano come la vera redistribuzione avverrà sui banchi 
              del Parlamento.
 
 Il quadro contabile, fin qui descritto, viene riassunto nella 
              tabella che segue. I valori sono misurati in miliardi di euro e lo 
              schema si fonda sul “conto economico” della pubblica 
              amministrazione, nella dizione utilizzata da Antonio Fazio durante 
              la sua recente audizione parlamentare.
 
 La dimensione contabile, che abbiamo ripercorso analiticamente, 
              permette di ricostruire la logica macoreconomica che ha guidato 
              l’impostazione originaria del disegno di legge finanziaria. Il 
              Governo mostra di voler sostenere i consumi interni e non gli 
              investimenti. E mostra di ritenere più espansiva l’attribuzione 
              della capacità di spesa alle famiglie rispetto alla titolarietà di 
              quella decisione da parte della pubblica amministrazione.
 
 Resta da capire quanto la disponibilità a spendere delle famiglie 
              a basso reddito sia sensibile alla riduzione della relativa 
              aliquota di imposta. Le imprese commerciali, ad esempio, 
              richiedono provvedimenti più incisivi in favore dell’espansione 
              dei consumi: attraverso manovre e misure che stimolino 
              l’indebitamento privato per finanziare quelle decisioni di spesa. 
              Simili manovre sono, pro quota, ulteriori espansioni di spesa e, 
              dunque, per essere realizzate dovrebbero trovare maggiore capienza 
              nei tagli annunciati o nei flussi derivanti dal concordato e dalla 
              riapertura dei termini per l’emersione delle attività estere.
 
 Ma perché il Governo non si impegna nel sostegno alle imprese, 
              agli investimenti privati o a grandi lavori pubblici? 
              Evidentemente il Governo ritiene che le imprese, anche grazie alla 
              politica più amichevole del centro-sinistra, abbiano già incassato 
              il proprio “dividendo fiscale” e che abbiano speso anche quel 
              dividendo in investimenti realizzati negli ultimi due anni. Di 
              fronte ad una prospettiva di stagnazione della domanda globale, 
              nei prossimi due anni, servono altri investimenti da parte delle 
              imprese o la capacità produttiva installata può reggere per alcuni 
              anni una domanda effettiva che si espanderà lentamente? Il Governo 
              non sembra aver scelto il sostegno fiscale degli investimenti 
              privati come strumento di una politica anticiclica. Forse perché 
              ritiene che in presenza di una tenue domanda effettiva, interna ed 
              internazionale, non è lo sgravio fiscale la molla che spinge la 
              decisione di investire da parte delle imprese. Questo giudizio 
              potrebbe anche essere condivisibile ma esso comporta una 
              pericolosa conseguenza: l’ulteriore dilatazione della distanza 
              tecnologica, e della capacità di competere, tra le imprese 
              italiane e quelle europee oltre che rispetto a quelle americane.
 
 Un giudizio altrettanto negativo, da parte del Governo, sugli 
              effetti della ripresa americana rispetto all’espansione del 
              commercio mondiale deve aver sconsigliato interventi per il 
              supporto alle esportazioni o per l’adeguamento tecnologico delle 
              strutture industriali delle imprese esportatrici. Sui lavori 
              pubblici la risposta è ancora più scontata:
 -il primo anno di Governo segnala la sostanziale incapacità delle 
              amministrazioni pubbliche di attivare grandi progetti ed il 
              permanere di un clima diffuso di ostilità verso le grandi opera da 
              parte degli ento locali e dei movimenti per la tutela ambientale;
 -il giudizio sull’incapacità di spendere della pubblica 
              amministrazione viene confermato dalla decisione di trasferire 
              capacità di spesa della periferia della stessa alle famiglie;
 -entrambe queste ragioni cospirano verso la ricerca di soluzioni 
              che non transitino attraverso la pubblica amministrazione ma 
              derivino da operazioni di project financing, reperimento di fondi 
              sul mercato e cartolarizzazione degli assets pubblici.
 
 Infrastrutture Spa e Patrimonio Spa sono la chiave di volta di 
              questa strategia: se reggeranno la sfida. In sostanza, le 
              infrastrutture rappresentano traguardi che non si realizzano 
              attraverso il bilancio dello Stato.
 
 novembre 
              2002
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