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 [IL DOCUMENTO DI BARI]
 Le politiche per il Mezzogiorno
 
 Anche il Mezzogiorno rappresenta un problema che non viene 
              affrontato e non un problema che non viene risolto.
 Leggendo con un indicatore particolare la dinamica del mercato del 
              lavoro in Italia e nel Mezzogiorno si percepiscono due trend molto 
              significativi. Il Mezzogiorno presenta, negli anni Novanta, una 
              caduta progressiva del livello di occupazione, misurato in % degli 
              occupati in Italia, che, dal 1999, si trasforma in una lenta 
              ripresa mentre, in termini assolutamente monotonici, dal 1993 al 
              2002 aumenta la disoccupazione del Mezzogiorno, misurata in % 
              della disoccupazione in Italia: anche in presenza, nella seconda 
              metà del decennio, di una riduzione in valore assoluto della 
              popolazione meridionale. Questa singolare misura del Mezzogiorno 
              come quota del totale italiano risale, nella pubblicistica 
              economica, al “mitico” capo degli industriali meridionali che 
              producevano energia elettrica, Giuseppe Cenzato. Egli, veneto 
              emigrato nel Sud, utilizzava queste misure per polemizzare contro 
              gli avversari della crescita meridionale.
 
 Queste misure e la loro dinamica mostrano chiaramente la natura 
              della questione meridionale. Il Mezzogiorno è un sistema economico 
              che non riesce ad attivare la propria capacità produttiva in 
              termini efficienti e lascia, quindi, disoccupate sia le proprie 
              risorse umane che le proprie risorse finanziarie: larga parte dei 
              depositi bancari del Mezzogiorno non si trasforma, infatti, in 
              impieghi per le imprese di quell’area. C’è una patologia 
              dell’economia meridionale di cui si leggono i sintomi ma non si 
              dispone, ancora, né di una diagnosi attendibile né di una terapia 
              adeguata.
 
 Tre circostanze oggettive, in ogni caso, rallenterebbero la messa 
              in efficienza della “macchina produttiva” meridionale:
 -il basso grado di integrazione internazionale delle imprese 
              esistenti, in un contesto mondiale in cui il tratto dominante 
              rimane la tendenza alla globalizzazione dei mercati;
 -l’inesistenza di banche che abbiano nel Mezzogiorno il proprio 
              “nocciolo duro” in termini di proprietà e radicamento sociale del 
              top management mentre la “proprietà conta” nelle decisioni 
              strategiche degli intermediari finanziari; contemporaneamente 
              nessuna delle banche presenti nel Mezzogiorno prevede nella 
              propria agenda operativa il problema di un’espansione della 
              propria attività corporate nel Mezzogiorno perché tutte sono alle 
              prese con problemi di razionalizzazione e coordinamento delle 
              proprie strutture interne;
 -una stagione di bassa congiuntura e di persistente depressione 
              nel breve termine, che non consente alle imprese di affrontare 
              problemi di recupero strutturale della propria inadeguatezza 
              economica né al Governo di cimentarsi adeguatamente con obiettivi 
              di recupero per i divari di benessere e per i divari di 
              produttività che pesano sull’economia meridionale.
 
 Il presidente Ciampi ha ricordato il problema, misurando egli 
              stesso dal grado di disoccupazione l’ampiezza e la gravità sociale 
              del fenomeno, ed ha indicato una terapia intelligente e necessaria 
              che, tuttavia, non è ancora sufficiente: il ricorso più tempestivo 
              ai fondi ed alle provvidenze messe a disposizione dalla politica 
              regionale europea.
 
 Quei fondi, per la procedura di carattere sussidiario che ne 
              disciplina l’utilizzazione, non si possono attivare se non in 
              presenza di un cofinanziamento da parte della finanza pubblica 
              nazionale: cofinanziamento che, in tempi di stretta fiscale, non 
              si può probabilmente attivare se non nelle forme spurie della 
              “sponda” con le spese ordinarie della pubblica amministrazione. 
              L’obiettivo di una maggiore rapidità e di una maggiore robustezza 
              endogena della crescita, tuttavia, impone di capire le ragioni 
              della patologia meridionale e di attivare la spesa di quei fondi 
              in direzioni capaci di attenuare la negatività di quelle 
              patologie. Se si condivide questa diagnosi se ne devono trarre 
              tutte le conseguenze logiche e mettere in discussione l’imperativo 
              della spesa “a tutti i costi e rapidamente” dei fondi resi 
              disponibili dalle politiche regionali europee.
 
 Non contano, insomma, la velocità ma la qualità della spesa di 
              quei fondi e la loro efficacia relativa nella rimozione degli 
              ostacoli allo sviluppo. Temi ed interrogativi, questi ultimi, sui 
              quali non esistono neanche le condizioni di conoscenza di base per 
              potere formulare giudizi razionali. Il tempo per attivare questi 
              processi, infine, è ormai drammaticamente breve: perché esso viene 
              limitato oggettivamente dal basso profilo della congiuntura 
              mondiale, prima, e, subito dopo, dall’ingresso di nuovi paesi 
              nell’Unione e dalla conseguente ridefinizione delle modalità in 
              cui si manifesteranno le politiche regionali alla nuova scala 
              europea.
 
 L’individuazione della dote di risorse, disponibili nel disegno di 
              legge finanziaria, per il Mezzogiorno, declassato alla definizione 
              di area sottoutilizzata, conferma l’esistenza di una disponibilità 
              potenziale di spesa ma, appunto, riduce la questione meridionale 
              ad un problema che deriva dalla sottoutilizzazione delle risorse 
              finanziarie in termini di velocità della spesa e lascia in ombra 
              due problemi ben più rilevanti:
 -la natura delle procedure e la qualità degli apparati che 
              determinano il contenuto reale, gli effetti, di quella spesa;
 -l’efficacia di quella spesa, una volta individuata nei suoi 
              risultati effettivi, per contrastare e ridimensionare le tre 
              evidenti manifestazioni della patologia meridionale e le cause 
              della stessa.
 
 Si fa strada, infine, una pericolosa interpretazione che tende a 
              dividere gli schieramenti in campo tra coloro che enfatizzano la 
              quantità della spesa e la sua erogabilità affidata ad automatismo 
              – la squadra dei bastard keynesians come avrebbe detto Joan 
              Robinson – e coloro che enfatizzano la qualità degli interventi e 
              la partnership tra pubblico e privato come chiave di volta di 
              queste innovazioni di sistema, che arricchirebbero la capacità 
              endogena di crescita nelle regioni sottoutilizzate.
 Questa contrapposizione è obsoleta, in termini di categorie 
              analitiche, ed è pericolosa in termini di politica economica. 
              Perché non guarda agli strumenti in relazione alla loro efficacia 
              nel cogliere l’obiettivo, ma solo in termini di gusti ideologici 
              dell’attore preposto al loro utilizzo: in primis il Governo ed in 
              seconda, ed assai più pervasiva battuta, la pubblica 
              amministrazione.
 
 novembre 
              2002
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