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IL MANIFESTO DI NAPOLI
Dal Sud per il Sud

1. Nasce a Napoli un Osservatorio sul Mezzogiorno, un gruppo di studi e ricerche sulla natura dei problemi economici della società meridionale e sulle politiche capaci di affrontarli.

2. Le condizioni della società e dell’economia meridionale presentano una singolare morfologia: i tratti negativi e ostili alla crescita si presentano come una rete uniforme, capace di condizionare la realtà locale, nell’ambito di una identità che è insieme una qualificazione di estraneità rispetto allo sviluppo possibile. I tratti positivi, viceversa, che pure emergono nel campo della sperimentazione politica, dell’innovazione culturale e della capacità imprenditoriale, si configurano come punti di singolarità e discontinuità. Accerchiati e condizionati dal dato negativo uniforme dell’opacità delle regole, della confusione organizzativa, dell’incapacità di crescere.

3. L’effetto di questa singolare contraddizione è la presenza di un’elevata e crescente disoccupazione: che può pericolosamente rappresentare l’alibi e la giustificazione di manovre finanziarie assistenziali ma che, nel medesimo tempo, ricorda i limiti di sopportabilità per la politica, di stabilizzazione e rinuncia alla crescita, che settori importanti del governo intendono spingere, al contrario, oltre ogni soglia di tolleranza.

4. La ricerca, avviata dai promotori di questa iniziativa, muove da una duplice esigenza: da un lato, la necessità di rifiutare il tradizionale modulo risarcitorio nel rapporto con uno Stato centrale, padre e padrone dei destini locali e dei cordoni della borsa; dall’altro, quella di non dimenticare il valore positivo del compromesso sociale alla base della relazione che lega il mantenimento dei livelli di democrazia alla capacità di espandere il processo di accumulazione. Non è in discussione, infatti, l’opportunità di offrire una sponda alla crescita del consenso generato dall’espansione dei livelli di occupazione ma è in discussione la modalità degli strumenti che, fondandosi sull’illusione di un’illimitata disponibilità delle risorse pubbliche spendibili, e ignorando sistematicamente la capacità di quella spesa di generare nuovo reddito, hanno affidato ad un keynesismo bastardo la soluzione del problema, la chiusura dei divari tra Sud e Nord.

5. L’obiettivo di questa nuova associazione di energie intellettuali è quello di alimentare la ricerca sulla struttura e i problemi dell’economia meridionale di fronte alle conseguenze del processo europeo di integrazione monetaria:
– per offrire materiali alla creazione di nuovi gruppi capaci di alimentare il ricambio della classe dirigente;
– per offrire soluzioni in grado di attenuare gli effetti negativi di questa integrazione;
– per contribuire all’elaborazione di una nuova prospettiva di politica economica.

6. Il paradosso dal quale occorre liberarsi, nel momento in cui si deve ragionare sul "come vivere" nella nuova condizione europea e non certo sul "se aderire" a quella condizione, è uno solo: ritrovare le forme di una prospettiva guidata dalla crescita e condizionata dal mantenimento di vincoli di stabilità. Essendo, al contrario, l’Italia l’unico Paese europeo il cui governo predica la stabilizzazione mentre la Banca centrale è costretta a tenere alto il monito dei rischi in cui si precipita, quando si rinuncia all’obiettivo della crescita. Solo la marcata insensibilità politica di un governo affidato alla guida della "tecnica" può sottovalutare, infatti, i pericoli che nascono dall’abbandono del compromesso democratico e dalla sfida aperta alla crescente disoccupazione ed ai fenomeni di violenza e disgregazione sociale che quell’abbandono comporta.

7. Rinunciare alla logica risarcitoria e al bisogno di rivalersi dei vecchi torti non cancella, tuttavia, l’ostacolo principale che l’accettazione del nuovo regime monetario comporta. Perdere lo strumento dell’aggiustamento esterno, attraverso lo slittamento del cambio, e integrarsi con aree di eccellenza, caratterizzate da divari ancor più marcati di produttività rispetto alle medie meridionali, comporterà un nuovo trauma rispetto a quelli scontati con l’unificazione prima e con il mercato comune poi. Data per acquisita la realizzazione del processo di integrazione, è in discussione la progressiva rinuncia a strumenti compensativi dei costi che essa genera. Non si può immaginare l’economia meridionale priva della leva del cambio, priva di trasferimenti in conto capitale e priva dell’integrazione fiscale sul costo locale del lavoro.

8. Non si tratta di chiedere una replica delle soluzioni costruite dal meridionalismo dirigista: esse sono oggettivamente superate proprio dal processo di liberalizzazione e integrazione. Si tratta, tuttavia, di ricordare che il rispetto della legalità, la sicurezza, l’accesso alla cultura di base e la diffusione delle conoscenze scientifiche sono compiti cui lo Stato non può e non deve rinunciare. Si tratta di puntare con coraggio a una marcata opzione federalista: perché la rete delle regioni e dei comuni sappia ripartire dal territorio, ricercando le ragioni puntuali dei successi che appaiono oggi come eccezioni, e sappia trasformarle nella nuova regola della crescita. Non si tratta di rinunciare a una prospettiva macroeconomica di qualità espansiva, come chiede oggi il partito della stabilizzazione a tutti i costi. Si tratta di mantenere aperta l’opzione dell’espansione e di qualificarla attraverso una penetrante valorizzazione delle risorse disponibili. Questa riscoperta dei successi individuali, della capacità di fare e di accumulare non può che partire dalla scomparsa della manomorta del centralismo statale.

9. È veramente singolare che, mentre si approva in Parlamento la nuova disciplina del corporate governance; mentre si dichiara di voler realizzare, con le privatizzazioni, i fondi necessari per ammortare la montagna del debito pubblico; mentre la società italiana riscopre i mercati mobiliari come opportunità e leva della crescita sostenibile, il governo intenda proporre al Parlamento società costituite per editti legislativi, diritti di controllo decretati dal presidente del Consiglio, ricompattazione degli armamentari generati e abbandonati dalle politiche di una stagione tramontata. Tutto questo orientato alla ripresa di una stagione di lavori "socialmente utili": un’imbarazzata metafora per coprire la ripresa di tamponi assistenziali che addormentano il dolore della disoccupazione ma che non hanno alcuna capacità di rimuovere le cause che le danno origine.

10. Non basta la riscoperta del federalismo per qualificare le scelte di questa opzione espansiva. Il fatto è che l’abbandono della logica risarcitoria ha ricevuto una salutare spinta, in una prima fase, dalla diffusione delle attese su patti e contratti d’area, dalla crescente consapevolezza che a un regime delle tutele e delle sicurezze garantite andava sostituito un regime delle responsabilità e il gusto per il rischio di soluzioni ricercate e realizzate individualmente. Questa rinnovata voglia di protagonismi, positiva nelle sue radici originarie, si è presto impantanata nel circolo vizioso di norme illeggibili, amministrazioni incapaci e procedure inconcludenti e opache. Anche il federalismo delle regioni e dei comuni è esposto a questi pericoli. La stessa spinta verso l’autonomia, la percezione della responsabilità soggettiva del proprio destino e il gusto dell’utilità sociale dell’iniziativa individuale rischiano di essere tradotti in modelli culturali caratterizzati dalla tutela amministrativa del comportamento dei singoli e dalla pretesa dei governanti di sostituire il proprio dominio alle libere determinazioni dei cittadini.

11. Il mondo entra in una nuova dimensione globale. Scompaiono gli Stati capaci di contenere i mercati, scompaiono le contiguità fisiche come occasioni di vantaggio competitivo. In questo nuovo quadro il federalismo forte del Mezzogiorno deve trovare le proprie strade o, meglio, deve aiutare i meridionali a trovare le strade possibili del loro futuro. Lasciandosi alle spalle la mentalità della ricerca di risorse capaci di alimentare i propri bisogni. Le risorse si devono impiegare per alimentare progetti capaci di riprodurne altre in maniera allargata. La base del benessere futuro non può che essere la capacità del presente di allargare la forza produttiva delle imprese e del sistema locale dei beni relazionali: università, assemblee elettive, associazioni sindacali e imprenditoriali.

12. È facile descrivere i percorsi della crescita quando essi abbiano trovato la propria singola forma storica. È difficile scrivere ricette per realizzare la crescita in un mondo che si integra sempre di più; realizzando poli più robusti grazie al fascino e alla forza centripeta di cui dispongono e dove le periferie diventano sempre più marginali. Il compito di questa nuova associazione non vuole essere quello di scrivere ricette impossibili e salvarsi l’anima con usurati esperimenti intellettuali. Il compito è quello di ricercare le strade possibili per minimizzare i costi che la supponenza delle classi dirigenti sta infliggendo alla parte più debole del Paese e di offrire il proprio contributo perché il Sud possa trovare la strada della crescita senza rinchiudersi in un orgoglioso isolamento autarchico: altrettanto sterile quanto la presunzione di far derivare ogni prospettiva di avanzamento civile dal perseguimento di meri obiettivi di stabilizzazione.

Napoli, 14 febbraio 1998

Renato BRUNETTA, Eugenia CAVALLARI, Domenico DA EMPOLI, Alfonso GALLO, Massimo LO CICERO, Vittorio MATHIEU, Domenico MENNITTI, Alessandro NAPOLI, Antonio PALMA, Giuseppe PENNISI, Adamo SPAGNOLETTI, Ubaldo ZITO