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 "Parola d'ordine meno Stato per il Mezzogiorno"
 intervista a Massimo Lo Cicero di Enzo 
              Popoli
 
 Le polemiche su una maggiore presenza del Sud nella finanziaria? 
              "Inutili. La finanziaria non ha risolto e non risolverà in futuro 
              i problemi meridionali. Anzi, quel che occorre è proprio meno 
              Stato nel Mezzogiorno"; parola di Massimo Lo Cicero, economista, 
              docente universitario e direttore dell'Osservatorio Sud della 
              Fondazione Ideazione. Che in questa intervista anticipa i temi di 
              un'iniziativa della stessa Fondazione (guidata dall'europarlamentare 
              Domenico Mennitti), in programma giovedì e venerdì della prossima 
              settimana a Bari: "Prenderemo il testimone dalla Cisl che si 
              confronterà sugli stessi argomenti il giorno prima a Napoli - 
              sottolinea Lo Cicero - e lo consegneremo a Confindustria che, 
              venerdì pomeriggio, sempre a Bari, darà vita ad un'assise con i 
              parlamentari meridionali.
 
 Entriamo nei dettagli?
 
 Gran parte della patologia - questa è la diagnosi di Fondazione 
              Ideazione - deriva dalle modalità con cui è intervenuto lo Stato: 
              erogando sussidi e contributi prima alle imprese e poi anche alle 
              famiglie; trasformando l'economia meridionale in una sacca 
              assistita e dipendente dalla finanza pubblica nazionale. Questa 
              terapia ha deformato l'atteggiamento verso il rischio degli 
              imprenditori, non ha aumentato significativamente il tenore di 
              vita locale - il tenore di vita in Lombardia è doppio di quello 
              meridionale - e non ha innalzato la produttività locale.
 
 Cosa occorre al posto dello Stato?
 
 Un'idea forte. Il Sud non può stare nella Finanziaria, deve 
              ragionare con la sua testa. E deve farlo su quattro direttrici 
              precise.
 
 Quali?
 
 La prima si basa sulle conseguenze in arrivo dall'allargamento 
              dell'Unione Europea. Che sarà verso l'Est e creerà un asse con 
              l'Ovest, emarginando il Sud. Non basta. Paradossalmente, 
              diventeremo più ricchi senza esserlo, visto che i nuovi poveri 
              saranno i Paesi orientali. In pratica, usciremo dalla scena se non 
              ci daremo un'identità diversa da quella fatta di assistenzialismo, 
              incentivi, aiuti comunitari e via di seguito.
 
 Per fare ciò?
 
 Ecco la seconda direttrice: far crescere l'impresa meridionale. 
              Che oggi è fatta di pochissime grandi industrie e una miriade di 
              piccole imprese. Mancano quelle medie, che costituiscono la base 
              dell'economia forte. Lo sforzo deve essere quello di far crescere 
              le cosiddette PMI. E anche qui la Finanziaria può aiutarci ben 
              poco se l'imprenditore continua a preferire la dimensione minima 
              o, addirittura, il sommerso.
 
 Qual è la terza direttrice?
 
 L'attrazione degli investimenti. E' necessario fare una grossa 
              opera di convincimento nei confronti delle grandi imprese di 
              qualsiasi parte del mondo (Italia compresa), farle venire nel 
              Mezzogiorno. Ma non con mire colonialistiche, come è accaduto 
              finora. Le imprese devono considerare il Meridione come un socio.
 
 Imprese che colonializzano… E il credito?
 
 Ecco la quarta direttrice su cui intervenire, ripeto, al di là 
              della Finanziaria. Non esiste più una banca meridionale, un 
              istituto che abbia proprietà e direzione nelle regioni del Sud, 
              che si identifichi e promuova gli affari locali. E' necessario 
              supplire a questa deficienza.
 
 (da Il 
              Mattino del 14 ottobre 2002)
 
 
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