| Index of Economic Freedom, economie aperte senza se e senza ma
 di Andrea Mancia
 da Ideazione, marzo-aprile 2004
 
 La libertà economica nel mondo è in crescita. E' questo il dato 
        essenziale che emerge dalla pubblicazione del decimo Index of Economic 
        Freedom, curato - in collaborazione con il Wall Street Journal - dalla 
        Heritage Foundation di Washington. Fondata nel 1973, in piena era Nixon, 
        questa Fondazione è ritenuta uno dei think thank più prestigiosi ed 
        influenti del mondo conservatore statunitense. Il suo scopo, si legge 
        nello statuto, è quello di “elaborare e promuovere strategie politiche 
        basate sui principi del libero mercato, della limitazione 
        dell’interventismo statale, delle libertà individuali, dei valori 
        tradizionali americani e della difesa nazionale”. Per raggiungere questi 
        obiettivi, lo staff della Heritage Foundation produce periodicamente 
        ricerche dedicate all’approfondimento di alcuni temi-chiave della 
        politica interna ed estera statunitense. E cerca poi, spesso con 
        efficacia, di coinvolgere nella discussione intorno ai temi affrontati 
        la classe dirigente Usa: i componenti del Congresso e dell’esecutivo, i 
        mass-media e la comunità accademica. La Fondazione, retta da un 
        consiglio indipendente di garanti, non ha fini di lucro e vive soltanto 
        grazie ai finanziamenti dei privati, visto che non accetta aiuti 
        pubblici o commesse esterne. Grazie ai suoi oltre 300mila 
        “finanziatori”, la Heritage Foundation è riuscita a diventare 
        l’associazione culturale con il maggior numero di sostenitori in tutti 
        gli Stati Uniti.
 
 Tra tutte le attività svolte dalla Fondazione, in ogni caso, nessuna può 
        essere considerata più utile ed interessante della pubblicazione 
        dell’annuale Index of Economic Freedom. L’indice misura in modo 
        sintetico il grado di libertà economica esistente in un numero crescente 
        di paesi (155 Stati nell’ultima edizione). L’analisi affronta una 
        cinquantina di variabili indipendenti che vengono poi raggruppate in 10 
        fattori-chiave: politiche commerciali, pressione fiscale, intervento 
        pubblico nell’economia, politiche monetarie, flussi di capitali e 
        investimenti stranieri, attività bancaria, salari e prezzi, diritti di 
        proprietà, regolazione, mercato nero. Ogni paese riceve, in ognuno di 
        questi fattori, un punteggio compreso tra 1,00 (massimo grado di libertà 
        economica) e 5,00 (minimo grado di libertà economica). E la media 
        ponderata di questi risultati fornisce il punteggio finale complessivo 
        (indicatore del grado di libertà economica) per ciascuno Stato. Punteggi 
        tra 1,00 e 1,95 connotano paesi come “liberi”; tra 2,00 e 2,95 
        “prevalentemente liberi”; tra 3,00 e 3,95 “prevalentemente non liberi”; 
        tra 4,00 e 5,00 “repressi”.
 
 Una sorta di classifica della libertà economica, dunque, che però 
        fornisce diversi elementi di valutazione per la comprensione della 
        natura e delle dinamiche dei sistemi politici. Come dimostrato 
        ampiamente dai curatori dell’Index, infatti, il grado di libertà 
        economica di un paese è strettamente e indissolubilmente correlato con 
        il suo tasso di sviluppo e prosperità. Dividendo in cinque gruppi gli 
        Stati, in base alla crescita (positiva o negativa) del loro indice di 
        libertà economica, gli analisti della Fondazione sottolineano come i 
        paesi che hanno migliorato maggiormente le proprie performance hanno 
        conosciuto, dal 1995 ad oggi, una crescita media del Prodotto interno 
        lordo pari al 4,89 per cento. Mentre i “peggiori” non sono andati oltre 
        al 2,53 per cento. Un tasso di crescita doppio, in tutto il decennio, ha 
        dunque caratterizzato le economie che si stanno liberando in fretta dal 
        peso oppressivo dello Stato, rispetto a quelle in cui questo processo è 
        più lento o che hanno innescato la retromarcia. Non bisogna però credere 
        che, per intraprendere il cammino verso una maggiore libertà economica, 
        sia assolutamente necessario procedere a velocità folli. Anche dei 
        piccoli, graduali miglioramenti possono dare luogo a benefici di grande 
        impatto nei confronti della popolazione. Come ha recentemente scritto 
        Edward J. Feulner Jr., presidente della Heritage Foundation, “gli 
        operatori finanziari sono oggi in grado di rendersi conto, in pochi 
        minuti, delle decisioni di politica monetaria di qualsiasi governo 
        mondiale. E questo può cambiare le prospettive di crescita di 
        un’economia in tempi brevissimi”. L’importante, però, è iniziare.
 
 24 marzo 2004
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