| La parabola di un’utopia di Pierluigi Mennitti
 
 E’ la fine di uno dei miti della sinistra socialdemocratica degli 
              anni Novanta. Le 35 ore, un feticcio capace di saldare in una 
              proposta politica concreta il vecchio slogan delle piazze autonome 
              degli anni Settanta: lavorare meno lavorare tutti. Produrre? Fare 
              profitto? Macchè, roba vecchia, residui di thatcherismo da 
              smaltire. La soluzione era lì, bella e pronta, elaborata dai 
              cortei giovanili di venti anni fa: e adesso che erano cresciuti e 
              andati al governo, gli ex-giovani divenuti premier e ministri 
              avevano pensato di metterla in pratica. Buon capofila, la Francia 
              di Jospin, malata di grandeur perduta e di burocrazia e tuttavia 
              arrogante e presuntuosa nel dettare la nuova via al socialismo 
              economico. Una legge. Un obbligo. Una nuova norma di vita e di 
              lavoro. E giù gli indici di produttività e su quelli dei costi per 
              le imprese. Risultato? Cinque anni dopo tutti a leccarsi le ferite 
              e tutti a pensare come tornare indietro da quella utopia 
              tardo-statalista che tanti danni ha prodotto all’economia 
              d’Oltralpe.
 
 Tanto più che non tutti ci sono cascati, a sinistra. In Germania 
              ci hanno pensato un po’ su, l’ala massimalista dell’Spd aveva pure 
              abbozzato una proposta ma poi tutto è finito nel grande stagno 
              della politica di Schröder e nulla s’è mosso. Anzi, il 
              Cancelliere, per affrontare la più lunga crisi economica del paese 
              dal dopoguerra, ha iniziato a pensare a riforme di tutt’altro 
              stampo, da quella fiscale a quella del mercato del lavoro, 
              introducendo elementi di “liberismo selvaggio” in una composizione 
              economico-sociale fin troppo consociativa. Fino alle trattative di 
              questi ultimi mesi, con le imprese che chiedono ai sindacati di 
              far lavorare di più gli operai, allo stesso costo, in cambio della 
              salvaguardia del posto del lavoro. Cioè, l’esatto opposto delle 35 
              ore. Si tratta per tornare alle 40 ore settimanali e il bello è 
              che i sindacati sono d’accordo, gli operai pure e lo Spiegel, la 
              bibbia della socialdemocrazia tedesca, può allegramente titolare: 
              “Ecco perché i tedeschi devono nuovamente lavorare di più”.
 
 Lavorare di più, lavorare chi può. Il settimanale tedesco pubblica 
              una tabella grafica comparata nella quale misura in miliardi di 
              euro le ore lavorate dagli operai delle grandi industrie in alcuni 
              paesi avanzati, dal 1992 al 2003. Espresse in percentuale, quelle 
              misure danno l’esempio del declino tedesco: Germania – 6, 
              Danimarca + 6, Gran Bretagna + 9, Olanda + 14, Stati Uniti + 16. 
              Come reggere il confronto? Appunto, rimboccandosi le maniche. Il 
              triste epilogo dell’ideologica riforma delle 35 ore sia di monito 
              alla sinistra italiana. Illudersi che la crisi del centrodestra, 
              da sola, possa sospingerla verso il governo del paese può esserle 
              fatale. Dall’Ulivo, da Prodi, dall’ampio agglomerato di 
              centrosinistra che raggruppa anche la vasta area della sinistra 
              antagonista l’Italia si attende un programma serio, concreto, 
              riformista. Nessuno concederà deleghe in bianco.
 
              
              26 luglio 2004
 pmennitti@ideazione.com
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