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          | “Italia, impara dai paesi dell’Est” intervista a Marc A. Miles di Arianna 
              Capuani
 [02 feb 06]
 
 Ha l’aspetto compito di un’analista finanziario ma la passione che 
              ci mette nel descrivere il “suo” Index of Economic Freedom lo fa 
              assomigliare a un uomo politico in piena campagna elettorale. Marc 
              A. Miles è il Deus ex machina dell’Indice sulle libertà economiche 
              che, per conto della Heritage Foundation e del Wall Street 
              Journal, monitora di anno in anno i progressi o le restrizioni al 
              libero mercato di tutti i paesi del globo. In Italia è stato 
              ospite dell’Istituto Bruno Leoni, partner per l’Italia della 
              Heritage nell’elaborazione dei dati e ha illustrato a Roma i 
              risultati dell’edizione 2006. Lo abbiamo intervistato per valutare 
              assieme le tendenze registrate a livello globale in un anno 
              considerato economicamente difficile nell’Europa occidentale, di 
              grande sviluppo nell’area asiatica.
 
 Novantanove nazioni, quest’anno, hanno 
              riportato una performance migliore rispetto allo scorso anno. Come 
              si spiega questo balzo in avanti? Possiamo davvero parlare di un 
              legame indissolubile tra libertà civili e libertà economiche?
 
 Non è nostro compito misurare le libertà civili, come ad esempio 
              fa Freedom House, ma soltanto quelle economiche. Ma in sostanza 
              sì: sono libertà che vanno di pari passo. Ad esempio, uno dei 
              nostri parametri è stato quello del rispetto della legge, per 
              valutare il tasso di corruzione. E talvolta, le libertà economiche 
              aiutano quelle civili ad emergere. Prendiamo il caso della Cina, 
              in modo particolare delle ricche province del Sud. Hanno creato 
              nuove industrie, c’è ricchezza di investimenti, si sta formando un 
              ceto medio a tutti gli effetti, e questo ha fatto sì che per la 
              prima volta i diritti di proprietà siano entrati nella 
              Costituzione. Non è impossibile, quindi, che questo cominci a 
              spianare la strada anche alle libertà che definiamo più 
              propriamente “civili”. Quello che vorrei sottolineare, è che la 
              libertà economica non è elargita dallo Stato: è qualcosa che 
              riguarda gli individui. Persone che si alzano la mattina e pensano 
              a come sfruttare il proprio talento naturale per produrre 
              ricchezza. Non sta ai governi farlo. E’ esattamente il contrario 
              dell’opinione di Kofi Annan e di Bono: i paesi ricchi dovrebbero 
              versare ingenti quantità di denaro a quelli più poveri. Ma così 
              facendo, non si ottiene altro che finanziare le solite oligarchie, 
              e i vari dittatori: la redistribuzione della ricchezza non ci è di 
              nessun aiuto. La povertà è soltanto un sintomo: il vero problema, 
              se mai, è la mancanza di opportunità.
 
 Quale è il bilancio dell’Europa? La 
              sensazione generale è ormai quella di un continente in declino: 
              corrisponde alla realtà? E il diffuso Stato assistenziale è 
              divenuto un freno alla crescita?
 
 Dovreste fare attenzione a non guardare soltanto all’Europa 
              occidentale. In Europa centrale e orientale è in atto una vera e 
              propria rivoluzione. L’introduzione della flat tax - in un sistema 
              più ampio di tagli delle tasse - ha prodotto notevoli risultati. 
              Pensiamo alla Slovacchia, che ha ridotto le tasse sul reddito dal 
              38% all’attuale 19. In Europa occidentale, una nazione che cresce 
              in modo eclatante oggi è l’Irlanda, che da esportatrice è 
              diventata importatrice di manodopera. Intanto, altri paesi 
              cominciano a imparare dall’Europa dell’Est: pensiamo alla 
              Germania, dove i lavoratori hanno rinunciato alle 35 ore per 
              lavorarne 40 con un salario invariato. E per quanto riguarda il 
              welfare state, vorrei segnalare che in Europa occidentale credete 
              di averlo. In realtà, si tratta di un welfare senza copertura 
              finanziaria: insomma, i vostri governi promettono più di quanto 
              non possano pagare. La situazione è sempre più simile a quella del 
              Giappone di qualche anno fa: una popolazione sempre più 
              invecchiata, difficoltà a pagare le pensioni, capitali e persone 
              che fuggono all’estero. E’ anche un problema culturale: le nazioni 
              dell’Europa dell’Est hanno guardato nell’abisso dell’economia 
              completamente statalizzata, e hanno imparato la lezione.
 
 Nel vostro indice l’Italia è scivolata di 
              ventidue posizioni ricevendo lo stesso punteggio di Trinidad e 
              Tobago: non è certo una bella sorpresa. Cosa ha determinato questo 
              dato? E cosa suggerirebbe al prossimo governo, qualunque esso sia, 
              per rimettere in moto la nostra economia?
 
 Il più grande problema dell’economia italiana sono i monopoli: 
              pensiamo al sistema bancario, all’Alitalia. Iniziare sul serio una 
              deregulation è fondamentale, e bisognerebbe inoltre eliminare 
              tutti gli ostacoli burocratici attualmente esistenti quando si 
              vuole fondare un’impresa. E c’è dell’altro. Per quanto riguarda le 
              tasse sul reddito, soltanto 26 paesi sono oppressi da una 
              pressione fiscale maggiore di quella dell’Italia. Certo, cercare 
              l’armonizzazione, come fanno Francia e Germania, non è poi una 
              cattiva idea, a patto però che si intenda praticare gli stessi 
              tagli delle tasse della Slovacchia. Ed è un problema di tutti gli 
              italiani. Ai prossimi governanti direi: volete essere ricordati 
              come quelli che non hanno fatto nulla per salvare il proprio 
              paese, o come quelli che lo hanno soccorso?.
 
              
              02 febbraio 2006 |  |  |  |  |