La morte del Partito comunista italiano
di Pierluigi Mennitti
Il voto del 13 maggio 2001 ha sancito la morte del Partito comunista italiano. A dodici anni dal crollo del comunismo sovietico, simboleggiato dalla caduta del Muro di Berlino, anche il comunismo italiano, disciolto nella versione postcomunista del Pds poi Ds, ha dovuto alzare bandiera bianca. Il sogno dei comunisti italiani di poter avviare e completare con successo una transizione indolore - dal comunismo alla socialdemocrazia, attraverso il purgatorio del postcomunismo - s’è dissolto. Che appaia nella versione modernizzante di D’Alema, o in quella onirica di Veltroni, o in quella irriducibile di Bertinotti, o in quella nostalgica di Cossutta, la sinistra di origine comunista, il Pci-Pds-Ds-Rc, non ha più futuro. Una lunga, gloriosa e tragica stagione politica ha incontrato il definitivo semaforo rosso, dopo aver imboccato un binario tortuoso che si è rivelato morto. E’ un progetto fallito, sepolto sotto la miseria del 16 per cento raccolto dalla Quercia. Sotto l’inagibilità politica del 5 per cento di Rifondazione. Sotto il 14 per cento dato a scatola chiusa a un agglomerato centrista - la Margherita - che nulla aveva di solido se non un candidato premier.
Quel “rendiconto”, così ben descritto da Claudio Petruccioli nel suo ultimo libro, è arrivato. Riguarda tutti, però. Tutti coloro che hanno partecipato all’immane tentativo di salvare la tradizione del vecchio Pci, la storia del più grande partito comunista d’Occidente, traghettandolo in mare aperto, in terra infidelis. Basandosi su una presunta diversità rispetto ai partiti comunisti d’Oriente, che i documenti degli storici ci raccontano più frutto di una strategia concordata con Mosca che di scelte autonome operate da Roma, i dirigenti del Pci hanno intrapreso, all’indomani del crollo dell’universo comunista, un percorso orgoglioso e pieno d’insidie. Non privo di mezze (o intere) bugie raccontate agli italiani e pure a se stessi. Hanno inventato una storia patria a immagine e somiglianza dei comunisti. Hanno usufruito di ogni spazio politico aperto dal lavoro di una magistratura non immune dal virus ideologico. Hanno cambiato simbolo. Colore. Inno. Bandiera. Stile di vita (basti confrontare la morigeratezza di Berlinguer o dello stesso Natta al milionario paio di scarpe di D’Alema: come passare da un ruvido bolscevico a un apparatnick arricchito della nuova nomenklatura russa). Ma non sono riusciti a cambiare il naturale corso della politica. Il passato li ha inchiodati. In Europa orientale è stato possibile che i partiti comunisti si riciclassero e diventassero sinistra agibile. In Europa occidentale no. La fine della Guerra Fredda avrebbe potuto permettere un governo delle sinistre anche in Italia. Ma a guida socialista, non comunista o postcomunista. Il Pci ha divorato il Psi e ora paga elettoralmente le responsabilità del suo passato.
C’è voluto Prodi, un cattolico, per portare i Ds al governo. C’è voluto un ribaltino di palazzo per portare un postcomunista a Palazzo Chigi. E si è dovuti ricorrere di nuovo a un non comunista, Rutelli, per provare ancora a vincere. Negli ultimi anni gli elettori progressisti hanno premiato qualsiasi formazione sia nata alla destra dei Ds. Alle Europee i democratici dell’asinello, alle Politiche la Margherita. E allo stesso tempo hanno contribuito ad erodere quel patrimonio di consensi che, negli anni della Guerra Fredda, il Pci aveva costruito. In venticinque anni si è passati dal 30 per cento del Pci al 16 per cento dei Ds. Troppo poco per poter continuare nell’illusione di traghettare la tradizione comunista nel terzo millennio. I Ds non rappresentano che l’ultimo stadio di un processo morto. La sinistra dovrà ricominciare da un’altra parte. E non è detto che la strada della ricostruzione sia così semplice come oggi appare a Rutelli: ci sono io, abbiamo costruito la Margherita, vinceremo la prossima volta. Nuove forze politiche possono riempire i vuoti che si creano, come dimostra la storia di Forza Italia. Ma non possono sopravvivere se mancano di idee, progetti, passioni. E se sono solo aggregati di interessi e paure, come pare allo stato attuale la Margherita. Per il momento registriamo la morte dell’ultimo moloch del Novecento italiano, che rischia di trascinare con sé anche la generazione degli ex comunisti cinquantenni, i Veltroni, i D’Alema, i Mussi. Nati con l’Urss, vissuti con Mao e Fidel Castro, tramontati assieme a Enver Hoxa e Erick Honecker. Solo dieci anni più tardi.
1
giugno 2001
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