La politica estera del governo Berlusconi:
un'opinione dall'estero
di Cristopher J. Hill
La netta vittoria di Silvio Berlusconi e della Casa delle Libertà alle elezioni del 13 maggio è affascinante per gli osservatori stranieri per quello che implica nella tendenza verso un sistema politico bipolare in Italia e per la spinta che dà alla destra in un'Unione Europea in gran parte di centro-sinistra. Ma finora si è parlato poco del suo possibile impatto sulle relazioni internazionali dell'Italia sia nell'ambito dell'Ue che al di fuori di essa. Si tratta di un tema che merita attenzione. Dopo tutto negli ultimi dieci anni la politica estera italiana ha guadagnato sicurezza e il primo governo Berlusconi, nel 1994, ha senza dubbio risolto alcune questioni con la sua politica sulla Slovenia e i suoi spunti di euroscetticismo. Questa seconda possibilità per Forza Italia darà luogo a una nuova linea dura, o persino a nazionalismo, nella politica estera italiana o Berlusconi starà attento ad evitare inutili complicazioni esterne in modo da potersi concentrare a mantenere la promesse sulla riforma interna?
Fino ad ora la seconda interpretazione sembra essere corretta. Renato Ruggiero, uno dei diplomatici italiani più rispettati a livello internazionale, alla fine ha accettato di diventare Ministro degli esteri ed è difficile pensare che questo ex direttore generale dell'Organizzazione mondiale per il commercio lo abbia fatto per causare guai nelle relazioni con i principali partner dell'Italia. E' una figura di immensa esperienza, sia a livello internazionale che per quanto concerne i governi della "prima Repubblica". D'altra parte, Ruggiero ha rifiutato le aperture fattegli prima delle elezioni e si è tormentato pubblicamente prima di accettare, alla fine, di farsi carico della Farnesina, dopo essersi fatto scortare nelle sue discussioni cruciali nientemeno che da Henry Kissinger (con Gianni Agnelli dietro le quinte). E' difficile immaginare una tale mise-en-scène in un altro paese importante. Inoltre lavorerà a stretto contatto con Antonio Martino, il nuovo Ministro della difesa. Martino fu, ovviamente, Ministro degli esteri nel primo governo Berlusconi e viene associato ad una fede nella politica economica anglosassone e ad una vigorosa difesa dell'interesse nazionale - un termine che in Italia come in Germania, causa nervosismo. Le esitazioni di Ruggiero e la nomina di Martino suggeriscono che ci sia stata incertezza, persino disaccordo, nell'ambito della nuova amministrazione riguardo alla direzione della politica estera e sarà interessante vedere quali saranno le prossime iniziative, se ce ne saranno.
La funzione del Ministro degli esteri è particolarmente importante per la difesa delle posizioni nazionali all'interno dell'Ue, come forse Tony Blair scoprirà a sue spese dopo aver sostituito Robin Cook con il neofita europeo Jack Straw. In Italia il fatto che Renato Ruggiero conosca quel teatro si rivelerà inestimabile, viste le sfide che attualmente tutti i governi degli stati membri devono affrontare. L'introduzione dell'euro nella vita quotidiana l'anno prossimo creerà delle difficili esigenze logistiche allo stato italiano, per il quale il caos dei seggi elettorali durante le recenti elezioni non costituisce un precedente felice. E' probabile che la popolarità di cui l'integrazione europea ha sempre goduto nel paese venga messa alla prova e il governo non riuscirà ad evitare di essere contagiato dai problemi che si presenteranno.
Cosa più significativa, il governo Berlusconi potrà scoprirsi obbligato a fare scelte difficili in materia di spesa pubblica per conformarsi alle discipline monetarie richieste dall'euro, non ultimo in due delle più importanti questioni sull'agenda europea: l'allargamento e la difesa. E' stato subito chiaro che il nuovo governo desidera onorare il suo debito elettorale con il Mezzogiorno assicurando che i fondi strutturali non verranno sottratti alle aree più povere dell'Italia per le necessità dei nuovi stati membri dell'Europa dell'Est. Sarà necessario fare causa comune con altri paesi meridionali nella stessa posizione, come la Spagna e il Portogallo, ma questa linea si può tenere fino a un certo punto oltre il quale si mette in pericolo l'intero progetto di allargamento, al quale l'Italia presumibilmente rimane fedele. Qui il nuovo governo si troverà stretto fra l'entusiasmo riflesso per qualsiasi grandioso progetto europeo e il peso dello status quo a livello europeo.
Sulla difesa c'è più spazio per operare delle scelte ma anche maggiore possibilità di conflitto con gli alleati chiave come Francia e Gran Bretagna. Se il nuovo "obiettivo principale" di una Rapid Reacion Force deve trasformarsi realtà e, in particolare, se deve permettere all'Ue di assumersi i "compiti di Petersberg" indipendentemente dagli Stati Uniti, i governi europei dovranno spendere di più, molto di più come ha detto chiaramente il segretario generale della Nato Robertson in un discorso a Londra l'11 giugno. Visto che Lord Robertson ha già incontrato Berlusconi a Roma si deve presumere che abbia già chiarito questa questione e che lo abbia fatto personalmente. E tuttavia anche con una maggioranza parlamentare più o meno immune al tipo di rivolta pacifista anti-occidentale che ha creato problemi a Romano Prodi, il nuovo governo troverà imbarazzante sul piano nazionale dirottare l'introito fiscale dalle pensioni e dall'istruzione alle forze armate. Se non lo farà e sarà seguito da altri governi europei, allora il progetto di una forza difensiva europea fallirà. La colpa sarà distribuita fra molti ma un'occasione sarà andata perduta. Se, invece, altri stati riusciranno ad aumentare la spesa per la difesa mentre l'Italia resterà indietro, allora la vecchia accusa secondo la quale il paese non è "serio" e non merita di essere incluso nei gruppi principali ritornerà in auge proprio quando Roma è riuscita a fare significativi passi avanti in politica estera.
In generale, sul fronte dell'Ue, l'Italia probabilmente continuerà la sua tradizionale azione equilibratrice: genericamente a favore di un progetto federale ma non abbastanza forte da fare da guida; desiderando di vedere l'Europa capace di agire più indipendentemente nella politica mondiale, ma con il timore di turbare gli Stati Uniti - Berlusconi può essere particolarmente sensibile su questo punto - e riluttante a impegnare molte risorse per gli interventi esterni. Le questioni più importanti che l'Ue deve affrontare nei prossimi cinque anni significano che l'Italia dovrà raggiungere importanti compromessi sotto il nuovo governo, specialmente fra obiettivi di politica interna e estera. Altrimenti il paese sarà travolto dagli eventi.
Da parte sua il resto dell'Europa starà a guardare con un certo nervosismo come il governo Berlusconi gestirà l'interazione fra le questioni interne e l'evoluzione dell'Ue. Dopo tutto in questi tempi di comunicazione istantanea, gli eventi di un paese possono diffondersi molto velocemente negli altri, attraverso processi di emulazione e reazione. Gruppi politici simili in altri paesi potrebbero sentirsi incoraggiati dalla vittoria di Berlusconi, mentre i gruppi di pressione oggi sono quasi innatamente transnazionali e non osservano le tradizionali norme di non interferenza negli affari degli altri. La libertà, la democrazia e i diritti umani sono considerati così indivisibili, malgrado il pugno di ferro della politica, che le pressioni ingiuste suscitano forti reazioni. Questo è stato evidente durante la campagna elettorale, quando gli attacchi personali a Silvio Berlusconi da parte dell'Economist e del Financial Times sono stati controproducenti, e forse volevano esserlo, visto che i giornalisti internazionali non sono famosi per la loro ingenuità. Non sorprenderebbe scoprire che alcuni elettori indecisi sono corsi in aiuto della Casa delle Libertà, irritati dal fatto che stranieri pieni di condiscendenza dicessero loro come votare.
L'episodio di Haider in Austria, comunque, continuerà ad aleggiare finché l'opinione pubblica straniera non si convincerà che Berlusconi è un normale politico democratico che non si arrenderà agli istinti xenofobi di alcuni dei suoi sostenitori (e membri della sua coalizione) e che accetta l'elemento di "autocrazia morbida" evidente nel suo dominio dei media italiani. Per molti outsider Bossi, Berlusconi e Fini devono ancora dimostrare le loro credenziali democratiche. Tuttavia per il momento gli altri leader europei hanno chiaramente deciso che non vogliono ripetere l'esperienza di alienarsi uno stato membro opponendosi al verdetto democratico dei suoi cittadini e persino gli osservatori non governativi hanno evidentemente deciso di sospendere il giudizio. L'Italia è un paese importante e nessuno vuole spingerla in un angolo assediato dai nemici o rievocare i fantasmi del passato. Assodato questo, qualunque sia il suo problema, l'Italia è un paese maturo e civile, nessuna lagnanza dall'esterno può essere legittima a meno che i cittadini italiani stessi non insorgano in una protesta significativa contro una minaccia alla loro democrazia.
Possiamo presumere che un nuovo governo con una maggioranza solida potrà difendere vigorosamente gli interessi italiani se essi sembrano marginalizzati. L'Italia si aspetterà di continuare a fa parte di qualsiasi recente "gruppo di contatto" per decidere la politica nei confronti dei Balcani e sarà in prima linea nel decision-making nei confronti di Albania, Libia e Tunisia. Ciononostante, sarebbe una sorpresa se Berlusconi ripetesse in politica estera lo stile eccessivamente forte del primo periodo in carica, creando così inutili complicazioni a sé e a i suoi alleati. I giorni in cui si creavano distrazioni internazionali dai problemi interni sono passati da molto tempo per gli statisti razionali, o almeno sono ridotte a livello di public relations, con l'opportunità di farsi fotografare in viaggi all'estero o ospitando i vertici dei G8. Inoltre il giro infinito di consultazioni internazionali nell'Ue, la Nato, l'Ocse, fra gli stati mediterranei e a livello bilaterale, costituisce una rete di seta dalla quale è molto difficile scappare o imporre posizioni individuali distinte, specialmente per un paese come l'Italia che per mezzo secolo ha dato enorme importanza all'accettazione e al multilateralismo.
L'altra faccia delle restrizioni esterne sulla politica estera del nuovo governo Berlusconi è il possibile impatto sugli altri paesi dei cambiamenti che l'amministrazione Berlusconi potrebbe indurre in Italia. Una qualsiasi delle seguenti possibilità potrebbe creare un partner piuttosto diverso per gli altri membri dei club occidentali: un'Italia federale; un paese con un sistema partitico bipolare stabile; uno stato forte e riformato in grado di sconfiggere il crimine organizzato. Tutto questo farebbe dell'Italia, già un paese ricco, uno degli stati più efficaci del mondo. Alternativamente, se sotto Berlusconi la società si polarizzasse e la politica finisse in una situazione di stallo, questo causerebbe serie difficoltà ai progetti internazionali come la stabilizzazione dei Balcani, il controllo dell'immigrazione illegale, il sostegno all'euro e lo sviluppo di una dimensione difensiva europea.
L'Italia ha avuto, non interamente per libera scelta, un rapporto speciale con gli Stati Uniti praticamente da quando il Settimo Esercito arrivò in Sicilia nel luglio del 1943. Sarà interessante vedere se un governo di destra sicuro di sé sceglierà di allinearsi di più con Washington, grazie ad inclinazioni economiche e ideologiche simili, o se l'orgoglio nazionale lo porterà a imporsi e a distanziarsi un po' dal grande protettore. In ogni caso, i rapporti con i partner dell'Ue potrebbero soffrirne. Il recente scalpore per la nomina di un nuovo ambasciatore americano a Roma che non era un italoamericano, dimostra come l'Italia sia abituata all'idea di un rapporto speciale fra le due società ma anche quanto sia a disagio nelle normali e forti relazioni con l'estero. La vicenda del Cermis, quando un irresponsabile pilota della Usa Air Force provocò la morte di quanti viaggiavano su uno ski-lift italiano, ha suscitato rumorose richieste pubbliche di giustizia da parte dei ministri del governo dell'Ulivo, ma poca reale pressione sul pentagono. E' difficile immaginare che il governo Berlusconi si comporterà più duramente, anche tenendo conto del residuo anti-americanismo di Alleanza Nazionale e della Lega Nord. Mediaset, l'AC Milan e le altre aziende di Berlusconi sono ottimi esempi di grandi aziende tardo-moderne e hanno molto in comune con le prospettive e le pratiche delle aziende americane della globalizzazione. In realtà Silvio Berlusconi è l'unico vero equivalente europeo di Rupert Murdoch. Con la sua casa alle Bermuda, è molto difficile che emerga come oppositore del capitalismo americano, non ultimo sulle fondamentali questioni ambientali, sulle quali altri chiedono che l'Europa parli a George Bush con una sola voce.
Anche sul piano politico è poco probabile che l'Italia sfidi Washington. I Balcani occidentali, la "prima linea" della politica estera italiana, oggi sono diventati un protettorato della Nato e la presenza americana è indispensabile. Al contrario del 1997, anche l'Albania rappresenta un problema troppo grande perché l'Italia assuma un ruolo guida, per non parlare di gestirlo unilateralmente, nonostante la sua posizione storica nel paese. Berlusconi si è dimostrato forte verso la Slovenia nel 1994 e ha vacillato nel 1997 sull'Albania e sulla questione dei profughi. Ma il gioco nei Balcani è cambiato radicalmente e c'è poco da guadagnare nell'avanzare rivendicazioni sulla questione della proprietà italiana che rimangono valide con la Slovenia e la Croazia. E, da uomo con esperienza di politica economica piuttosto che di questioni di sicurezza, il nuovo primo ministro procederà quasi certamente con cautela prima di esporre se stesso e il suo paese in merito ad un pericoloso grappolo di problemi che ha il potenziale di esplodere in gravi crisi: Macedonia, Kosovo, Albania e Montenegro. Il radicato multilateralismo continua ed essere quasi una scelta obbligata per l'Italia, anche se il paese potrà continuare gradualmente ad assumersi maggiore responsabilità (cioè ad impegnare maggiori risorse e ad accettare la sua parte di rischi) invece di nascondersi dietro gli alleati più grandi.
L'unico aspetto di politica della sicurezza sul quale un governo Berlusconi potrebbe prendere chiare iniziative unilaterali è quello della criminalità transnazionale e dell'immigrazione illegale. Parte dell'ondata di consensi alla Casa delle Libertà è stata senza dubbio dovuta ad un clima di paura e di antagonismo verso il recente carattere multirazziale della società italiana, incoraggiato, bisogna dire, dai media di Berlusconi. Qualsiasi amministrazione troverà enormi ostacoli tecnici a fermare l'arrivo sulle coste italiane di profughi economici dai Balcani, dalla Turchia e dal Nordafrica, ma il governo sentirà sicuramente la necessità di prendere una linea dura e questo potrebbe scatenare dei conflitti in Italia ma anche con l'opinione pubblica europea, specialmente se si ripetono incidenti come quello del 1997 dove ottantanove albanesi affogarono di fronte a Brindisi dopo una collisione con una nave della Marina italiana.
Da circa quindici anni l'Italia va riscoprendo una politica estera nazionale, non intesa come nazionalismo o rifiuto delle istituzioni internazionali, ma come riconoscimento della possibilità di affermare interessi distinti nell'ambito di una struttura multilaterale, senza necessariamente ricevere l'imbeccata da leader soi-distant dell'Alleanza occidentale e dell'Unione Europea. E' difficile che il nuovo governo Berlusconi, che include personaggi come Bossi, Fini e Martino così come il primo ministro stesso, inverta questa tendenza, anche se Bossi agiterà più la bandiera della Padania che quella dell'Italia e il compito di imbrigliare queste forti personalità è arduo. La netta maggioranza parlamentare e l'insolita prospettiva di almeno cinque anni in carica dovrebbero dare forza all'esecutivo per perseguire iniziative di politica estera, mentre in passato il governo aveva sempre dovuto guardarsi le spalle per repentini crolli della coalizione. Ciononostante sarebbe una sorpresa se Berlusconi decidesse di impressionare con forti atteggiamenti nazionalistici nei rapporti con gli altri paesi. Da maestro di pubbliche relazioni sarà sempre tentato dal gesto grandioso ma ormai dovrebbe aver imparato che quello che funziona bene in Sicilia o a Milano 2 non fa necessariamente colpo sui concreti operatori di Bruxelles, siano della Nato o dell'Ue. In questo potrà avere bisogno dei consigli del vecchio nemico Romano Prodi e di imparare dai primi errori del suo alleato naturale George Bush. Distinguere lo stile dalla sostanza ed equilibrare l'autoaffermazione con la solidarietà saranno le sfide chiave internazionali per Berlusconi a casa e all'estero e finalmente avrà la sua possibilità di cambiare l'Italia.
7
settembre 2001
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