Il 7 ottobre e gli impegni degli
italiani
di Paolo Zanetto
Il prossimo 7 ottobre non sarà una giornata come tutte le altre.
Il 7 ottobre in Italia sarà molto probabilmente un grande giorno,
una domenica da ricordare, di quelle in cui la gente si ritrova
nei bar, nelle piazze o per le strade, e parla del grande
argomento del giorno. Il 7 ottobre, infatti, gli italiani
festeggeranno l’Italia. Che la sera prima -incrociando le dita
-sarà entrata nella fase finale dei campionati del mondo di
calcio. Per la disperazione di quelli che il calcio lo detestano,
il 7 ottobre non si parlerà d’altro che della partita
Italia-Ungheria. Tra le altre notizie della giornata: il
campionato è ovviamente sospeso, non c’è nemmeno la Formula Uno,
ma per gli appassionati del genere c’è il referendum sul
federalismo.
Mentre i sondaggi certificano che più del venti per cento degli
italiani non sa nemmeno che è stato indetto un voto,
l’informazione è comprensibilmente più impegnata sul fronte degli
sconvolgimenti mondiali dopo l’attacco all’America, mentre in casa
nostra si occupa della prossima legge finanziaria. Nessuno parla
del referendum, eppure è importantissimo: ce l’assicura Pierluigi
Castagnetti, che dalle colonne del Popolo combatte la sua gloriosa
battaglia per la riforma. Non è ancora ben chiaro per quale
ragione dovremmo andare a votare sì: c’è chi (Rutelli) ci spiega
che è una rivoluzione per il nostro paese, chi (Violante) teme “un
altro terremoto di riforme” nel caso in cui vincano i no, e chi
(governatori di diverse regioni) preferisce votare sì perché è
troppo complicato spiegare le ragioni del no. Anche sul fronte
opposto ci sono posizioni diverse: Umberto Bossi ritiene che la
riforma costituzionale voluta dall’Ulivo non si possa nemmeno
definire federalista tanto è inutile, mentre Alleanza Nazionale
vuole promuovere un vero federalismo con la nuova maggioranza. A
confondere le acque arriva Fausto Bertinotti, secondo il quale in
ballo non c’è l’allargamento dei poteri degli enti locali, bensì -
colpo di scena - la privatizzazione dei servizi pubblici:
Rifondazione voterà no.
Tra dichiarazioni e teatrino politico, agli italiani di questo
referendum non frega proprio niente. Forse ha ragione il neo
segretario dei Radicali, Daniele Capezzone, quando lamenta che i
soliti noti “tentano di uccidere l’istituto referendario”. Oppure
piuttosto ha ragione il ministro Gasparri, che interpreta
l’atteggiamento popolare con uno slogan: “non c’è il quorum e non
c’è il cuore”. Il rischio è che domenica prossima venga approvata
una riforma della Costituzione con una percentuale di votanti
irrisoria. Eppure agli italiani del federalismo importa ancora
molto. Ai bravi cittadini del Nord, quelli che nei primi anni
Novanta fecero di Bossi un leader nazionale, quelli che oggi
votano Forza Italia perché c’è il Berlusconi, sembra che negli
ultimi dieci anni il federalismo sia stato scippato loro dai
politicanti: una volta era un grido di liberazione contro il
vecchio apparato statale e statalista, oggi è diventato la parola
d’ordine di coloro i quali rappresentano l’ancien régime. I
campioni del “federalismo reale”, Formigoni in testa, proseguono
per la loro strada senza troppo dibattito su ciò che è lecito e
ciò che non lo è: per introdurre il buono scuola e il buono sanità
la Lombardia ha tirato molto la corda costituzionale, ma era forte
di dieci milioni di abitanti che si sarebbero molto arrabbiati
contro il governante di turno che avesse cercato di fermare le
riforme. Il 13 maggio in Lombardia il governante di turno, che
aveva osato fare un po’ di opposizione quelle proposte, ha perso
in 70 collegi su 74.
Mentre la sinistra strepita contro le proposte di devolution di
Bossi, il confronto nel governo è già iniziato, e porterà ad una
proposta di riforma sicuramente più avanzata di quella dell’Ulivo,
anche se non così marcata come nelle speranze delle Lega. Il
dibattito sulla proposta, c’è da scommetterci, sarà lungo e
complesso, e ricalcherà parola per parola quanto è stato già detto
sul federalismo nell’ultimo decennio. Sappiamo tutti che ci
toccherà subire un fiume di commenti e articolesse, il che non è
certo una prospettiva esaltante: non abbiamo voglia di perdere
tempo adesso, a discutere di una proposta già sorpassata. Il
referendum, vinca il sì o vinca il no, non cambierà nulla, e a
trionfare sarà la noia. Concentriamoci piuttosto sulle riforme
serie.
28 settembre 2001
zanetto@tin.it
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