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              Cattivi pensieri. Pacifismo d’assalto 
              (verbale)di Vittorio Mathieu
 
 Pace e male. E’ quanto augurano all’Occidente i suoi nemici. Ai 
              miei tempi - cioè tra le due grandi guerre - forse solo l’Italia 
              fascista cercava effettivamente la pace, sentendosi debole, ma non 
              senza corrusche minacce guerriere. Poi fu il contrario: per 
              puntare su una guerra senza quartiere si cominciò a predicare la 
              pace: “para pacem, si vis bellum”. Franco pacificò la Spagna 
              preparandone l’attuale sviluppo, ma Picasso non disegnava le 
              colombe della pace per Franco: le disegnava per Stalin. E, 
              infatti, il “levantamiento” era stato un’insurrezione contro un 
              governo legale: ma la legalità, per conservare la pace, consisteva 
              nello sterminare equamente religiosi ed anarchici. La legalità era 
              la Russia di Stalin, e Roosevelt giudicava che andasse rispettata. 
              Churchill fingeva soltanto che andasse rispettato Roosevelt, ma 
              intanto consegnava ai russi i polacchi che avevano combattuto a 
              fianco degli inglesi. Ho visto ancora recentemente censurato, in 
              un volume francese contro la xenofobia, il fratello del principe 
              del Lichtenstein, che salvò dai russi alcuni di quegli infelici 
              scampati ai massacri dei tedeschi e dei comunisti.
 
 La marcia per la pace da Perugia ad Assisi scatena guerre solo di 
              parole, perché ha origini più modeste. Il marxismo non c’entra, se 
              non come fratello maggiore. Aldo Capitini, che la inventò, non era 
              un marxista, bensì un azionista e, come tale, affascinato dalla 
              non-azione. Se una mosca o una zanzara lo importunavano, le 
              allontanava con le buone, ma stava attento a non ucciderle. Il suo 
              modello remoto era Gandhi, ma quello più a portata di mano era lo 
              storico della filosofia Guido Calogero, che gli aveva assicurato 
              la carriera di pedagogista. Calogero era un laicista accanito ma, 
              ad un certo punto, fu colto da ammirazione sconfinata per Giovanni 
              XXIII. Né divenne l’esegeta ed interprete autorizzato presso la 
              società politicamente corretta. Se Calogero avesse studiato la 
              filosofia moderna, avrebbe potuto fare sulla guerra una 
              distinzione analoga a quella che si suole applicare al pessimismo 
              di Schopenhauer: pessimismo empirico, ottimismo trascendentale. La 
              pace è un principio trascendentale che qualche volta, contro i 
              prepotenti, richiede qualche guerra empirica. Ma Calogero 
              conosceva bene solo la filosofia antica e, per di più, solo 
              Parmenide: non Eraclito, secondo il quale “il contrasto è padre di 
              tutte le cose”.
 
 Così fu facile per l’antifascismo diffondere la persuasione che il 
              fascismo - essendo nato dall’interventismo, dagli arditi col 
              teschio sul gagliardetto, dalle squadracce - fosse sinonimo di 
              guerra, e il comunismo di pace. Nessuno razzolava bene, ma il 
              fascismo predicava anche male; e la pace, come arma per 
              distruggere l’avversario, rimase appannaggio dei comunisti. Ora, 
              finito il comunismo come potenza mondiale, la pace è rimasta 
              orfana, e non è strano che a predicarla in quel modo siano rimasti 
              solo gli amici dei terroristi.
 
 19 ottobre 2001
 
              vmathieu@ideazione.com 
              
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