Tutti in marcia verso un vicolo cieco
di Luciano Priori Friggi
Paolo Guzzanti su Il Giornale, stigmatizzando la caratterizzazione
della marcia della pace, è tornato a denunciare con la sua solita
bravura l'atteggiamento della sinistra più estrema (dai Bertinotti
ai Casarini, passando per gli Agnoletto) padroni della situazione
e definiti antiamericani e nazicomunisti. Purtroppo credo che
abbia assistito alla marcia solo attraverso la tv. E così si è
perso ciò che l'ha preceduta. Ne avrebbe tratto un'impressione ben
diversa.
Il problema principale in questo momento è un certo mondo
cattolico che si è alleato al movimentismo di sinistra in funzione
antiamericana. Ha descritto bene il clima un partecipante
no-global, non cattolico (intervistato da Sciuscià), "questa è la
marcia dei cattolici, io sono qui perché a Genova ho incontrato
preti cattolici molto più a sinistra di me". C'è da ricavarne un
primo giudizio: senza i cattolici per quella sinistra non ci
sarebbe stato -e non ci sarebbe in futuro- molto spazio. Avrebbe
fatto qualche piazzata qua e là con i soliti centri sociali,
avrebbe bruciato qualche bandiera americana e tutti sarebbero
stati felici di non abitare in un paese come il Pakistan (e ora
anche la Palestina) dove si è arrivato a mettere in prigione gli
organizzatori di manifestazioni di analogo contenuto e dove si è
sparato a chi vi partecipava. Domenica 14 ottobre abbiamo invece
assistito, unico paese occidentale, ad una manifestazione di oltre
centomila persone, nella stragrande maggioranza caratterizzata da
slogan nella sostanza antiamericani (Corriere della sera
"Duecentomila contro la guerra", "Rutelli abbandona il corteo",
"D'Alema, neanche uno slogan contro il terrorismo"). Gli abbiamo
dato la diretta tv. Abbiamo assistito allo scempio della verità,
senza che nessuno dicesse alcunché. Il tutto con la partecipazione
attiva e determinante dei cattolici. Non è accaduto niente di
simile in nessun'altra parte del mondo.
Questa marcia è stato un avvenimento devastante per l'immagine
trasmessa ai nostri alleati, per l'Ulivo e quindi anche per la
nostra democrazia. Chi non è ulivista potrebbe rallegrarsi degli
insulti e dei lanci di oggetti contro D'Alema e compagnia,
etichettati financo come assassini. Noi no. La democrazia si
costruisce con due forze o schieramenti saldamente democratici e
che gareggiano avendo gli stessi principi fondamentali di base e
le stesse probabilità di vittoria. Ciò alimenta la competizione,
garantisce l'alternanza, e il sistema resta sano. Da un po' di
tempo a questa parte c'è stato un ampio dispiegarsi di forze
contro questa tendenza, certamente prevalente in questi ultimi
anni. La disintegrazione dell'Ulivo è ora sotto gli occhi di tutti
e quell'ipotesi di stabilizzazione del sistema politico rischia
ora di allontanarsi di nuovo. Rallegrarsene sarebbe un grave
errore. Ma chi cerca, consapevolmente o no poco importa, la
destabilizzazione?
Non c'è spazio per raccontare in dettaglio ciò che ha
caratterizzazto, dal punto di vista dei contenuti, la marcia di
domenica scorsa. Vogliamo solo riportare brevemente il sunto di un
intervento conclusivo al meeting dell'Omu (Organizzazione mondiale
dell'umanità), uno dei momenti più significativi tra quelli che
hanno preceduto la marcia. Citiamo a memoria, ma senza tradire il
senso dell'intervento. E' sotto certi aspetti agghiacciante:
dunque oggi siamo di fronte ai "nuovi banditi" del ventunesimo
secolo, i potenti, coloro che producono la violenza. Lo slogan "o
con noi o con i terroristi" di Bush è da condannare senza
esitazione e Blair che lo condivide si è posto - insieme a tutto
il suo popolo - al di fuori dell'umanità. Il fulmine dell'11
settembre non è scoccato per caso, è il frutto della
mondializzazione degli ultimi 20 anni. E' frutto della violenza
economica delle multinazionali, delle privatizzazioni, della
violenza culturale. Insomma la colpa è dell'occidente e in
particolare delle sue punte democratiche più avanzate. Il relatore
è poi passato a elencare le nefandezze degli americani, tra cui
5000 bamini morti in patria l'anno scorso per l'uso delle armi da
fuoco. Alla fine ha invitato tutti ad alzarsi e a restare per
alcuni secondi in silenzio in memoria di tutte queste vittime. Poi
ha concluso richiedendo una settimana di dibattito nelle scuole
per spiegare a tutti i giovani il "perché". Applausi scroscianti e
la senzazione nei presenti di aver partecipato ad un grande
avvenimento, qualcosa che resterà a lungo nel profondo dei loro
cuori. Chi erano gli ascoltatori? In prevalenza, ci è sembrato di
capire, i quadri dirigenti e intermedi della galassia delle
organizzazioni cattoliche che hanno organizzato la marcia. Sono
gli stessi che formeranno le coscienze dei nostri figli. Dobbiamo
essere chiari fino in fondo. Ci dispiace dirlo ma bisogna
contrastarli, con l'argomentazione stringente, in ogni contesto in
cui provino ad imporre le scempieggiani ascoltate in questa
occasione: i loro toni, d’altronde, sono tutt'altro che pacifici.
Per finire, una osservazione a margine. Alla luce di quanto
accaduto sarebbe opportuno rivedere la tendenza a privatizzare
l'istruzione. Abbiamo sempre pensato che la privatizzazzione
avrebbe aperto le porte a chi vuol dare ai propri figli una
formazione più vicina ai propri sentimenti morali e religiosi. Ora
ci chiediamo: siamo sicuri che certi docenti (includiamo anche
quelli di orientamento religioso non tradizionale per il nostro
paese) siano all'altezza del compito? Una volta tanto bisogna
forse dare ragione all'oratore dell'Omu: il privato - almeno in
questo caso - potrebbe essere un errore, soprattutto se dovesse
essere gestito sulla base dei principi che abbiamo avuto occasione
di ascoltare in questi giorni.
19 ottobre 2001
l_pf@yahoo.it
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