| 
              Roma-Washington, Berlusconi rinsalda 
              l’amiciziadi Paolo Zanetto
 
 I giornali italiani avevano liquidato l’annuncio della visita di 
              Silvio Berlusconi a Washington come un atto scontato, per il quale 
              si era dovuto attendere sin troppo. Erano rimbalzate voci sul 
              presunto imbarazzo che il ministro degli Esteri Ruggiero avrebbe 
              causato al governo, avendo sconsigliato Berlusconi 
              sull’opportunità di andare subito in America, salvo poi prenotarsi 
              prontamente un appuntamento con il vice presidente Dick Cheney. Il 
              pool dei cronisti che ha seguito il presidente del consiglio era 
              composto dai soliti “berlusconologi”, ultra-esperti di politica 
              interna ma talvolta poco avvezzi alle relazioni internazionali e 
              alla lingua inglese.
 
 Invece, il meeting alla Casa Bianca è stato un bel successo. A 
              pochi giorni dal consiglio europeo in cui la vecchia Europa dovrà 
              dimostrare compattezza e credibilità davanti agli occhi del mondo, 
              Berlusconi ha saputo diventare protagonista di quella “shuttle 
              diplomacy”, la diplomazia-navetta, che finora ha avuto come unico 
              interprete Tony Blair. Se l’Italia riuscirà a influenzare l’Europa 
              nel rafforzamento di un asse transatlantico - contro il terrorismo 
              ma non solo - Bush potrà essere ben felice di aver dedicato un’ora 
              nello studio ovale a questo premier che alcuni americani non sono 
              ancora riusciti a capire. Colpa soprattutto dei media a stelle e 
              strisce: il New York Times e il Los Angeles Times non hanno 
              nemmeno riportato la notizia di Berlusconi negli Stati Uniti.
 
 Ma anche la stampa estera, come fa notare Giuliano Ferrara, va 
              letta criticamente: i miti dell’imparzialità del giornalismo 
              anglosassone e del distacco tra politica nazionale e giornali 
              stranieri sono, per l’appunto, solo dei miti. La Washington Post 
              ha sempre tenuto un atteggiamento molto scettico nei confronti di 
              Berlusconi, ed è stata felice di bacchettarlo con un editoriale 
              molto duro in occasione della polemica sulla sua frase 
              sull’Occidente. Questa volta un breve articolo liquida l’arrivo 
              del premier italiano come “visita di basso profilo”. Non così il 
              concorrente filo-repubblicano Washington Times, che si complimenta 
              con Berlusconi per avere espresso “un ringraziamento agli Stati 
              Uniti senza precedenti nella storia delle relazioni con l’Italia”. 
              In effetti, tutto il viaggio è partito sotto la buona stella di un 
              editoriale del Wall Street Journal, che non ha smesso di incensare 
              il governo italiano dopo la vittoria del 13 maggio, nel quale la 
              Bibbia dei mercati finanziari afferma che “Berlusconi pesa molto 
              più dei suoi critici” e gli augura un buon incontro con Bush.
 
 L’incontro a porte chiuse è andato probabilmente molto bene: è 
              noto che sin dal G8 a Genova George W. e Silvio si trovano 
              simpatici. Alla riunione hanno preso parte anche Condoleezza Rice, 
              consigliere per la sicurezza nazionale, e Dick Cheney, segno di 
              interesse reale per ciò che Berlusconi aveva da dire. E non sono 
              rimasti delusi: il maggiore impegno dell’Italia nei Balcani 
              trasforma il paese da consumatore a produttore di sicurezza, e 
              quindi lo rende un alleato primario degli Stati Uniti nel 
              peace-keeping mondiale. La visita al Pentagono con Paul Wolfowitz, 
              vicesegretario alla Difesa e uomo forte della politica militare 
              del governo Usa, dimostra tutto l’interesse degli americani a 
              stabilire un forte asse con Roma sia nel supporto diplomatico sia 
              in quello più strettamente militare. Anche se le truppe italiane 
              non dovessero prendere parte agli attacchi in Afghanistan, è 
              evidente che una nostra presenza più forte nel teatro balcanico 
              consentirebbe agli Usa di portare i loro soldati là dove ne hanno 
              più bisogno.
 
 La visita a Washington è probabilmente la prima di una lunga 
              serie. Nei prossimi anni vedremo spesso le foto con stretta di 
              mano tra Bush e Berlusconi nel giardino della Casa Bianca. Bisogna 
              sperare che il provincialismo tipico di una certa politica 
              italiana e l’anti-americanismo di fondo della sinistra non 
              socialdemocratica non facciano perdere credibilità all’alto 
              profilo che Berlusconi e il presidente Ciampi vogliono dare 
              all’Italia nel mondo post-11 settembre.
 
 19 ottobre 2001
 
 zanetto@tin.it
 |