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              Come cambia la politica estera italianadi Alessandro Bezzi
 
 Se al governo ci fosse stato D’Alema, sicuramente oggi uno 
              straccio di bandiera tricolore starebbe svolazzando per le strade 
              di Kabul. Sicuramente. Sarebbe più facile farne sventolare una 
              americana per le più tranquille vie di Roma, così, tanto per 
              emendarsi di aver calcato il tratturo che collegava Assisi a 
              Perugia, dove quelli che tutti insieme fanno il 36 per cento dei 
              sondaggi di Mannheimer hanno esternato il loro anti-americanismo. 
              Purtroppo non abbiamo più D’Alema al governo. Dobbiamo 
              accontentarci di vedercelo pavoneggiare (come ha scritto Il 
              Foglio) al Maurizio Costanzo Show, immaginandosi un reduce di 
              chissà quali battaglie (in Kossovo c’è andato grazie al 
              centrodestra) e sognando deserti da conquistare con i soldatini 
              della Playmobil.
 
 Chi al governo invece c’è per davvero, prova a tracciare una linea 
              di politica estera compatibile con lo stato delle nostre Forze 
              Armate che, a detta del nuovo capo di stato maggiore della Difesa, 
              presenta livelli di arretratezza che meriteranno una diversa 
              attenzione governativa per i futuri bilanci militari. Per il 
              momento bisogna dare corpo alla profonda virata pro-Usa che 
              Berlusconi ha voluto dare nelle ultime settimane per cancellare 
              l’impressione di un’Italia impigliata nei lacci 
              dell’anti-americanismo. E allora, srotolate le mappe e fatto il 
              conto delle armate disponibili, il ministro Martino ha messo in 
              campo la disponibilità di un certo numero di aerei, mezzi navali, 
              uomini. Il loro compito, ha assicurato il ministro, sarà quello di 
              intervenire nella terza fase dell’operazione Endurance Freedom, a 
              sostegno delle azioni umanitarie e per contribuire a stabilizzare 
              la situazione politica in un eventuale forza multinazionale. Un 
              po’ quello che già facciamo oggi in Bosnia e in Kossovo: 
              un’operazione di pecekeeping nella quale le nostre truppe appaiono 
              particolarmente capaci. Non così sul piano dell’attacco militare.
 
 Ma la prima, concreta possibilità di intervento è nei vicini 
              Balcani. Le truppe italiane potrebbero rimpiazzare quelle 
              americane e inglesi, liberando queste ultime per ulteriori impegni 
              nell’area di guerra. Saremmo così ancora più direttamente 
              impegnati in una zona di confine, quella balcanica, dove i nostri 
              interessi sono fondamentali e nello stesso tempo saremmo di 
              utilità al complessivo sforzo degli alleati anglo-americani. Ma 
              per una guerra che si svolge su piani non solo militari, il nostro 
              impegno può declinarsi su più versanti. La fortuna di avere sul 
              nostro territorio il re afgano, oggi al centro di delicate 
              trattative per il dopo talebani, è una carta che il governo sta 
              giocando sul tavolo delle diplomazie. Berlusconi ha preso in mano 
              il pallino degli incontri. Dopo Bush, Putin, un viaggio 
              importantissimo in Russia per misurare le strategie di un attore 
              tornato prepotentemente sulla scena. E poi il largo giro che il 
              ministro degli Esteri Ruggiero sta compiendo per le capitali arabe 
              con l’obiettivo di rinsaldare rapporti cordiali che il nostro 
              paese ha sempre avuto con un’area divenuta cruciale per gli 
              equilibri della Grande Coalizione contro il terrorismo. In questo 
              senso si inserisce la disponibilità a creare, sempre all’interno 
              di un coordinamento con i paesi occidentali, le condizioni per un 
              piano economico per la Palestina.
 
 Insomma l’Italia si è rimessa in cammino. Sarà un lungo lavoro, 
              perché l’impressione complessiva del nostro paese è stata 
              fortemente minata dalla sovraesposizione di personaggi alla 
              Casarini e alla Agnoletto e dall’ambiguità di una sinistra 
              culturalmente lontana dall’occidentalismo neo laburista. Ma alla 
              fine è il governo che detta la linea. E oggi si intravvede un 
              progetto di politica estera di più ampio respiro.
 
 26 ottobre 2001
 
 alexbezzi@usa.net
 
              
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