Rogatorie: i magistrati passano dalle parole ai fatti
di Cristina Missiroli

Per un inopportuno scherzo del destino è toccato proprio al processo sull’acquisto del giocatore del Milan Lentini la sorte di essere il primo procedimento rinviato a causa della nuova legge sulle rogatorie internazionali. Gli avvocati della difesa di Massimo Maria Berruti e Adriano Galliani hanno sollevato la questione di illegittimità per gli atti acquisiti all'estero. Il pubblico ministero, Gherardo Colombo, ha chiesto tempo per esaminare la richiesta e il giudice della seconda sezione penale ha deciso di rinviare il processo al 17 dicembre. E, come c’era da aspettarsi, il centrosinistra ha riaperto le ostilità rovesciando su Camera e Senato diverse interrogazioni parlamentari e sottolineando come proprio Berlusconi sia il primo beneficiario della legge.

Eppure i magistrati avevano già dimostrato di non aver bisogno di sponde in parlamento. La loro guerra l’avevano già iniziata da soli, accogliendo in pieno l’appello di Francesco Saverio Borrelli. Già il 21 ottobre i magistrati erano passati dalle interviste ai fatti. La prima occasione è arrivata con l'udienza per il processo sui fondi neri Eni. Secondo i pubblici ministeri della procura di Milano, Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo, i documenti spediti in Italia dalle autorità straniere sono utilizzabili perché la loro raccolta è stata effettuata in base a un trattato internazionale che, come tale, supera la legge italiana. E come dice l'articolo 10 della Costituzione, "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute". Una risposta ai difensori degli imputati che, in base al provvedimento votato di recente dal Parlamento, avevano chiesto la nullità degli atti ottenuti dall'accusa perché privi dei certificati di autenticità.

Durissimo il commento del presidente dei senatori azzurri Renato Schifani: ''Prendiamo atto: alcuni pubblici ministeri hanno raccolto l'appello del procuratore Borrelli, che chiedeva una interpretazione della legge sulle rogatorie internazionali che ne svuotava il contenuto''. E’ toccato perciò al ministro della Funzione Pubblica, Franco Frattini, richiamare i magistrati all’ordine e spiegare: "Ai magistrati spetta l'applicazione della legge. L'unico caso in cui il magistrato può non applicarla è quando la rimette alla Corte Costituzionale o agli organi di giustizia comunitaria". "Coloro che tornano ad agitare fantasmi contro questa legge mi portino- insiste Frattini - un solo nome di terrorista, o di pedofilo o di mafioso che sia stato o sarà scarcerato per effetto di questa legge. Dico esattamente scarcerato, cioè tornato in libertà per effetto di questa legge".

Ma se la sinistra ha scelto di ricominciare a cavalcare l’arma dell’intreccio tra magistratura e politica, questa volta il governo non sembra intenzionato a cedere le armi. Silvio Berlusconi ha deciso infatti di mettere mano alla riforma della giustizia. E in una lettera inviata al presidente dell’organismo unitario dell’Avvocatura italiana, l’avvocato Silvano Berti, durante il ventiseiesimo congresso nazionale forense, ha spiegato quale saranno i capisaldi della riforma. Si tratta fondamentalmente di sciogliere il nodo centrale della giustizia, la divisione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e di uscire definitivamente da quella che lo stesso Berlusconi ha definito “una stagione emergenziale penale che ha consentito in alcuni casi di costruire indagini senza riscontri e di pronunciare condanne senza prove”. “E’ormai evidente che la giustizia italiana ha bisogno di una riforma- ha sostenuto il presidente del Consiglio- perché siamo ancora lontani da un corretto equilibrio fra la domanda di giustizia e la capacità di risposta giudiziaria”. Una separazione di ruoli che, secondo il premier, garantirà i diritti degli indagati e degli imputati “coniugando le esigenze della difesa dei cittadini imputati di reati con le esigenze della difesa della società offesa da un reato”, e porterà il sistema penale a “soddisfare tre certezze: la certezza del reato, la certezza del processo, la certezza della pena”.

26 ottobre 2001

missiroli@opinione.it