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              Ds, verso il Congresso senza politicadi Alessandro Bezzi
 
 E’ poca l’emozione con cui si segue la campagna pre-congressuale 
              dei Ds. Definite le posizioni dei candidati, conosciute le 
              specifiche delle mozioni, scontato il risultato finale. Ha vinto 
              Fassino, che viaggia nei congressini di provincia con il 65 per 
              cento e dunque è pronto a sbaragliare i contendenti, Berlinguer e 
              Morando, all’appuntamento di Pesaro (16-18 novembre prossimi). 
              Questo Morando, poi, è proprio ridotto al lumicino. Rappresenta il 
              2 per cento, a dar retta ai dati che trapelano dalle ex Botteghe 
              Oscure. E si tratta della mozione più vicina a qualcosa che si 
              potrebbe definire un socialismo liberale. Il resto è il truppone 
              post comunista di sempre, suddiviso tra la maggioranza dei 
              pragmatici fassin-dalemiani e la minoranza degli utopico-buonisti 
              berlinguerian-veltroniani. Ma qui viene il bello.
 
 Se Fassino ormai punta decisamente a prendere la guida del 
              partito, e i notabili dalemiani a risalire sul carro con lui, 
              Veltroni sembra aver un po’ mollato la cordata pro-ulivista per 
              provare a giocare una partita di tutt’altro genere. Non più la 
              guida del partito, che il sindaco di Roma ha già ricoperto senza 
              ottenere risultati soddisfacenti, ma un percorso tutto personale 
              alla conquista, tra molti anni, della leadership del 
              centrosinistra, Ulivo o quello che sarà. La strategia non è 
              particolarmente originale: l’ha già percorsa Rutelli, proprio 
              prendendola alla larga dal Campidoglio. Ma per l’ex radicale, 
              privo di un partito politico, si trattava di una strada in qualche 
              modo obbligata. Per Veltroni si tratta di una scommessa che poggia 
              su una sconfitta: l’ennesima quando nel partito si viene alla 
              conta. D’Alema è più forte, più abile, più manovriero. Lo ha 
              dimostrato imponendo Violante a capogruppo parlamentare. Lo ha 
              ribadito sospingendo Fassino alla vittoria congressuale.
 
 Tornano a separarsi, dopo essersi appena incrociate nel giorno 
              della sconfitta elettorale, le strade dei duellanti diessini per 
              eccellenza, D’Alema e Veltroni. Il primo, dopo la parentesi alla 
              guida di una fondazione di cultura politica, ha deciso di 
              ripercorrere la strada del partito, seppure guidandolo per 
              interposta persona. Il secondo ha compiuto il percorso opposto: 
              abbandonato il partito per una poltrona istituzionale, proverà a 
              muovere da uno dei colli di Roma. Le rinnovate ambizioni dei due 
              leader si scontreranno con l’inevitabile emergere di nuove figure. 
              Per dirne una, sarebbe sbagliato considerare Piero Fassino 
              semplicemente come la longa manus di D’Alema e non è detto che una 
              segreteria guidata dall’emergente politico torinese non possa 
              scombinare i piani stabiliti. Sullo sfondo, però, resta il 
              problema insoluto di cultura politica: sulle ceneri del post 
              comunismo sarà difficile innestare un nuovo progetto della 
              sinistra. E allora le tattiche dei singoli uomini politici 
              continueranno a vagare nel vuoto di una strategia inesistente che 
              poggia su un partito (e una classe politica) che hanno esaurito da 
              tempo sostanza e funzione.
 
 1 novembre 2001
 
 alexbezzi@usa.net
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