L’Italia in soccorso di un’Europa smarrita
di Domenico Mennitti

E’ ripreso il fuoco concentrico contro Romano Prodi presidente della Commissione europea. Questa volta l’offensiva si svolge in una fase di obiettiva difficoltà del sistema europeo che non ha mostrato grande spirito unitario nell’affrontare la crisi esplosa dopo gli atti di terrorismo che hanno colpito l’America. L’Europa - facciamo una constatazione, non esprimiamo una opinione negativa da euroscettici - vaga senza un’identità fra gli schemi sconvolti dalle macerie delle torri, pagando a caro prezzo il deficit della dimensione politica e militare, evidente nella sua costruzione. Abbiamo già sottolineato che l’assenza dello spirito unitario, che si esprime se c’è una politica comune, ha costituito l’occasione per una forte ripresa di ruolo degli stati nazionali, ognuno dei quali ha cercato di ritagliarsi un proprio spazio di attenzione e di partecipazione con iniziative di solidarietà agli Stati Uniti che sono apparse fra loro addirittura concorrenziali.

Così la Gran Bretagna ha ribadito il sodalizio storico di matrice anglosassone, la Germania ha dato un segnale per scrollarsi definitivamente di dosso il ruolo di potenza economica e nano politico, la Francia ha offerto quel che può, una collaborazione bellica piuttosto simbolica. Questi paesi hanno poi cercato un’intesa per proporre una loro leadership rispetto al resto del continente, organizzando un incontro a tre, ostentatamente riservato per evidenziare l’esclusione di tutti gli altri e, in particolare, dell’Italia e della Spagna. L’Italia, a sua volta, ha scoperto con bella intuizione una funzione politica (il piano a favore dei palestinesi, l’interlocuzione privilegiata con Putin) per rendere più consistente l’offerta di solidarietà agli amici americani.

Non c’è da meravigliarsi che l’assenza di strategia comune abbia determinato uno strascico polemico ed abbia chiamato in causa innanzitutto il presidente della Commissione, uno dei due organismi - l’altro è il Consiglio - ai quali sono demandate le decisioni comunitarie. E non c’è neppure da meravigliarsi che sia ripresa l’offensiva contro Prodi, che in verità non ha avuto vita facile nell’esercizio del suo mandato e nei confronti del quale - ha ragione Berlusconi - questa volta si manifesta il fastidio per essere egli espressione di un paese che ha buttato via l’abito dimesso dell’ospite per vestire i panni del padrone di casa.

L’Europa va incontro a scadenze decisive, tra le quali assumono rilevanza la riscrittura della Costituzione, le modalità di elezione del presidente della commissione, i poteri dei tre organi e soprattutto del Parlamento, tutti argomenti che incideranno sul futuro di una organizzazione che riesce più facilmente a quadrare le differenze economiche e monetarie che quelle politiche e militari. Per ora, dopo il difficile passaggio di Nizza, l’appuntamento è fissato per la fine del 2003, epoca in cui Prodi dovrebbe essere ancora il presidente della Commissione e Berlusconi il presidente di turno del Consiglio, un’accoppiata italiana che crea qualche apprensione soprattutto dopo che il vecchio asse dominante franco-renano fatica a reggere e la Gran Bretagna continua a comportarsi come un osservatore diffidente. Se consideriamo anche che fra i candidati a presiedere la Convenzione che elaborerà le riforme costituzionali c’è Giuliano Amato, indicato unanimemente dall’Italia sia dalla maggioranza e che dall’opposizione, c’è da concludere che l’accanimento a dipingere il nostro paese con toni foschi nasconde interessi fin troppo evidenti. La nostra capacità tuttavia deve manifestarsi sul piano della proposizione di soluzioni concrete per il futuro dell’Europa: la risposta deve essere politica, nel senso che dobbiamo restituire vigore a un sentimento comune che deve rafforzarsi e non indebolirsi per affrontare e vincere le sfide nuove del nostro tempo.

1 novembre 2001

domennitti@tin.it