Marcia pro-America? Sì, a patto che...
di Luciano Priori Friggi
In un'intervista di Fernando Mezzetti a Edward Luttwak, raccolta
subito prima del G8, si poteva leggere: "Non mi sorprende che il
cardinale Tettamanzi si scagli contro la globalizzazione. Si sente
a disagio in un mondo in cui vince il calvinismo, per il quale la
ricchezza è segno divino". Per Luttwak, ovviamente, il calvinismo
si identifica con la società americana.
Forse è questa la spiegazione del perché, con l'avvio del processo
di globalizzazione, si sia sviluppato un sentimento antiamericano
così forte, prima in Italia e più di recente in importanti strati
della popolazione mondiale. Se così è, la manifestazione pro-Usa
promossa dal centrodestra, per impulso di Forza Italia, per il 10
novembre a Roma è la benvenuta. Ma non sarà un appuntamento facile
né da organizzare, né da gestire. Ad ostacolarla, in modi più o
meno espliciti, saranno innanzitutto le tre componenti culturali
più significative della società italiana degli ultimi ottanta
anni, la cattolica (non liberale), la comunista e la fascista.
Tutte rigorosamente antiamericane. Alla base delle ultime due
ideologie c'è un bagaglio di argomentazioni che, alla fin fine, è
riconducibile a quelle stesse che sono patrimonio di una larga
fetta del mondo cattolico.
In questi giorni abbiamo letto un'infinità di contributi e di
analisi sulla manifestazione pro-Usa, moltissimi dei quali
orientati nella direzione che abbiamo appena evidenziato. Forse è
utile portare in aggiunta qualche testimonianza diretta. Chi
scrive da moltissimi anni svolge attività di docenza di economia
in master post-laurea. Si ha a che fare dunque con persone
abbastanza mature. Ebbene, l'ostacolo maggiore nel trasformare una
classe in un gruppo di lavoro affiatato è rappresentato dai
giovani più impeganti nei movimenti cattolici. Appena si inizia a
ragionare sui fondamenti di una qualsiasi economia di mercato,
immancabilmente intervengono per ribattere con osservazioni del
tipo: "Sì, ma come spiega e giustifica il fatto che il 20 per
cento dell'umanità consuma l'80 per cento delle risorse?". La
fatica per farli desistere da questa ed altre idee consimili, che
a loro paiono impregnate di valori, è enorme. E non accettano mai
del tutto di entrare nei meccanismi del mercato che, per loro, è
sinonimo di immoralità. Il fatto è che in realtà hanno più
interesse verso un'economia alternativa a quella di mercato.
La sinistra comunista ha cavalcato a lungo questa opinione. Solo
il fallimento dell'esperimento sovietico le ha fatto cambiare
idea. Ma fino a un certo punto. E' subito iniziato infatti il
lavorio dei soliti intellettuali organici, indirizzato alla
ricerca di altre strade. E' nata così la proposta della cosiddetta
terza via, mai decollata ma mai abbandonata. E' lo stesso
percorso, guarda caso, della destra di ispirazione fascista
(addirittura a partire dagli anni Trenta). Oggi ciò che resta di
questi tentativi è poca cosa da un punto di vista teorico. Tutti
si dicono liberali. Ma lo sono veramente? A noi sembra di no.
Certamente non è così a sinistra, neppure in quella maggioritaria.
Al di là dei proclami riformisti, i veri riformatori di questi
ultimi venti anni sono stati i partiti della destra democratica
inglese e americana, cioè la Thatcher e Reagan. Sono loro che
hanno attaccato il sistema dei costi immensi pagati dalla società
per mantenere dei privilegi. Non solo quelli sindacali come nel
caso dei controllori di volo (Usa) o dei minatori (Inghilterra),
ma anche quelli che sembrerebbero più vicini all'ideologia della
destra. Così la Thatcher "ha distrutto la struttura secolare della
City, i privilegi secolari degli operatori finanziari, quelli con
la puzza sotto il naso che uscivano dalla public school e
entravano quasi per diritto ereditario nelle istituzioni
finanziarie della City, con redditi garantiti grazie ad antiche
consuetudini. Il Big Bang della Thatcher è la rottura di queste
consuetudini, di redditi per inetti in posizione privilegiata solo
per legami corporativi. E’ stata una rivoluzione autenticamente
democratica e che ha, oltretutto, tagliato i costi per le
operazioni finanziarie"(Luttwak).
Siamo arrivati al nocciolo della questione: la mentalità
calvinista, che ha avuto la sua massima espansione negli Usa, è
profondamente democratica anche perché mette l'uomo in relazione
diretta con Dio, senza intermediari terreni o eccessivi afflati
comunitaristici ("Il cattolicesimo è essenzialmente Chiesa, il
calvinismo è essenzialmente una religione e un'etica individuale",
Gianni Baget Bozzo). Ed è una mentalità che tende a valorizzare,
in terra, chi sa ben operare (senza abbandonare a se stesso chi ha
veramente bisogno). Tutto si lega. In realtà dietro il rifiuto
(più o meno esplicito) del mercato e dell'America c'è il rifiuto
della meritocrazia. E dietro a tutto questo c'era (e c'è) sia una
concezione strumentale dello stato che il disegno di usarlo
(insieme alle sue partecipazioni) con finalità di parte. Insomma
stato dispensatore di privilegi e di posti, posti e ancora posti,
ottenuti non grazie al merito ma grazie all' "appartenenza" (su un
giornale serissimo come MF, un anno fa, si poteva leggere che
5mila funzionari, "fedeli compagni", erano stati inseriti dalla
sinistra nei posti strategici dello stato per "sabotare"
dall'interno qualsiasi riforma strutturale di un futuro governo di
centro destra).
Il sogno di ogni scienziato delle scienze cosiddette esatte è
quello di trovare non tanto le cause ma la "causa" di un fenomeno.
Cercando di applicare la stessa metodologia alle scienze sociali
forse si può dire, in riferimento al caso in esame, che i nemici
veri dell'America sono rintracciabili tramite un unico criterio,
l'atteggiamento (negativo) nei confronti del "merito". Con questo
approccio si riesce persino a superare l'ostacolo rappresentato
dalle diverse confessioni religiose e convinzioni politiche. Se
Berlusconi è consapevole che la manifestazione che ha lanciato,
raccogliendo l'invito del Foglio, ha dietro di sé un tal risvolto
ben venga. Sarebbe l'occasione per discutere finalmente del perché
della "diversità" americana e delle riserve o dell'odio che questa
genera in tanti politici (che poi influenzano le folle). Mentre se
la minifestazione è stata indetta soltanto per dare la propria
solidarietà agli Stati Uniti per l'attacco alle torri (e creare
qualche problema ai pacifisti di professione) il minimo che si può
dire è che, forse, è un po' tardiva e se ne sarebbe potuto fare
anche a meno.
1 novembre 2001
l_pf@yahoo.it
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