Nord e Sud, due modi (ancora) diversi di fare politica
di Carlo Chianese
Ve le ricordate le raccomandazioni? L'onorevole che vive e lavora
al Sud è ancora obbligato a spendere tempo e fatica per seguire le
pratiche dei suoi concittadini (ed elettori). Il suo collega del
Nord, invece, può seguire un'agenda più manageriale, affrancato da
queste pressanti richieste. Sono seicentotrenta i deputati e
trecentoquindici i senatori che compongono il parlamento italiano
(esclusi i senatori a vita). Ognuno di loro è espressione di un
determinato collegio, di una precisa parte del territorio italiano
e, se da un punto di vista costituzionale e, quindi, formale, è
chiamato a svolgere gli stessi compiti dei suoi colleghi
all'interno delle aule parlamentari, delle commissioni e dei
ministeri per chi ha incarichi di governo, è interessante
osservare le differenze che caratterizzano la vita dei nostri
parlamentari quando si spostano, soprattutto nei fine settimana,
nei collegi elettorali di appartenenza. Qualche differenza tra
Nord e Sud è, ancora una volta, evidente.
Un deputato meridionale passa, in media, molto più tempo lontano
da Roma rispetto al collega settentrionale, non perché la vita
politica romana non sia anche per lui abbastanza intensa o per
questo la voglia evitare, bensì perché gli elettori reclamano la
presenza del loro rappresentante, ricordando puntualmente che è il
loro voto a consentirgli la permanenza nella capitale. E così
mentre la segretaria del senatore piemontese prenota il primo volo
aereo della giornata per consentire la partecipazione
all'immancabile convegno e il rientro a Roma prima di sera, la
collega campana si assicurerà che il suo deputato sia presente a
tutte le riunioni politiche, inaugurazioni, matrimoni e, in
genere, a tutte le manifestazioni pubbliche che garantiscono un
costante contatto fisico con l'elettorato.
Questa lodevole disponibilità è apprezzata dai concittadini che,
dopo aver rispettosamente ossequiato e complimentato l'illustre
conterraneo, prima dei saluti, ricordano di sollecitare un
intervento per il nipote o un interessamento per l'amico che,
sicuramente, alle prossime elezioni non dimenticherà il
benefattore. Poco importa poi se tra una campagna elettorale e
l'altra i benefattori sono tanti e di parte politica diversa e il
voto purtroppo è uno solo. Ma anche in questo caso i più
coscienziosi ricorreranno ad un'equa ripartizione del consenso in
misura percentuale e rigorosamente proporzionale ai meriti dei
candidati, creando il più delle volte non poca confusione in
famiglia e nella cerchia degli amici più fidati. Il parlamentare
calabrese inizierà allora la settimana romana smistando i numerosi
"appunti di interessamento" (le raccomandazioni) che si ritroverà
puntualmente sul tavolo ogni lunedì, mentre in aula il collega di
partito, veneto e meno oberato da tali incombenze, ricorderà di
votare doverosamente la legge all'ordine del giorno anche per il
vicino di banco che, però, a fine giornata, sarà almeno più
tranquillo di conservare il suo scranno (vuoto) anche nella
successiva legislatura.
E' questo un piccolo spunto di riflessione su un consolidato
costume italiano che evidenzia ancora una volta come, al di là di
ogni buona intenzione, le circostanze storico-culturali lascino
poco spazio alla libertà di azione dei singoli, perpetuando, come
nel caso in esame, reiterate prassi che alimentano il
clientelismo. Perché ancora oggi che stampa e televisione
diffondono in tutto il paese le stesse idee, le stesse
consuetudini, a volte addirittura imponendole o anticipandole,
alcune di queste sono recepite in modo differente in luoghi
differenti? E perché è ancora il meridione d'Italia a portare il
peso di una certa mancanza di consapevolezza nelle proprie risorse
quando, come nel caso che qui si è cercato appena di accennare,
continua a scambiare il diritto con il favore?
16 novembre 2001
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