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              "Si può essere passionali senza cadere 
              nella demagogia"intervista a Franco Debenedetti di Paolo Mossetti
 
 I Ds hanno concluso il loro congresso di Pesaro con un risultato 
              del tutto interlocutorio che da oggi dovrà essere misurato sul 
              terreno concreto dell'azione politica. Abbiamo deciso di valutare 
              alcune questioni emerse dal congresso con il senatore Franco 
              Debenedetti, esponente dell'area liberal.
 
 Senatore, molti parlano dell'ombra di 
              Cofferati dietro la sinistra Ds. Il segretario della Cgil ha 
              annunciato autunni caldi e conflitti sociali. Mario Pirani, già 
              questa estate, lo ammoniva di fare meno propaganda, suscitandone 
              le ire. Eppure oggi Cofferati non esclude una scesa in campo.
 
 Cofferati ha grande personalità politica. Credo che, se lo 
              volesse, sarebbe anche capace di portarsi dietro tutto il partito 
              sulle posizioni di una moderna sinistra di governo. Ma 
              occorrerebbe uno stacco netto tra il sindacalista e il politico: 
              la commistione dei ruoli sarebbe un danno per il sindacato in 
              primo luogo. E' sembrato che Cofferati proprio di questo fosse 
              preoccupato quando negava, come ha fatto a lungo, di voler entrare 
              in politica. Dopo che ha ammesso che la politica potrebbe essere 
              nel suo futuro, questa prospettiva è diventata molto meno 
              improbabile. Ed è inevitabile chiedersi se non lo sia sempre 
              stata.
 
 Proposte di modifica all'articolo 18 dello 
              Statuto dei lavoratori continuano a scatenare polemiche roventi. 
              Lei si è più volte dichiarato favorevole ad una riforma, ma non 
              crede che lo Statuto sia forse nato già vecchio, o comunque troppo 
              oppressivo? In quegli anni c'era l'operaio-massa, la minaccia del 
              terrorismo…
 
 Difficile negare che lo Statuto dei lavoratori nasca con una forte 
              impronta ideologica: ma penso si debba riconoscere anche il ruolo 
              positivo che ha avuto nel determinare le relazioni sindacali in 
              Italia. La domanda che lei mi pone, suggerisce di storicizzarlo 
              nella sua origine, di non considerarlo un tabù, di proporre con 
              atteggiamento laico e pragmatico le modifiche che oggi sono utili, 
              forse necessarie. Insomma, se si modifica la Costituzione…
 
 Lei ha strigliato i Ds per la scelta di 
              partecipare alla manifestazione del Social Forum durante il G8 di 
              Genova. Che rapporto dovrebbe avere una sinistra moderna con il 
              popolo di Seattle?
 
 Io credo che la tolleranza non consista nel far finta che 
              non ci siano idee sbagliate: quelle degli antiglobalizzatori, di 
              Seattle come di Genova, sono sostanzialmente sbagliate; il confuso 
              coacervo in cui vengono affastellate rende sbagliate anche quelle 
              che contengono grani di verità. Non c'era bisogno dell'11 
              settembre per saperlo, ma dopo l'11 settembre il margine di 
              tolleranza per le idee sbagliate deve ridursi. Certe sciocchezze e 
              certe ambiguità sono lussi che non possiamo più permetterci. Ho 
              un'istintiva diffidenza verso il conformismo, verso il politically 
              correct. Ma le idee degli antiglobalizzatori su Ogm, Tobin Tax, 
              multinazionali, debito del terzo mondo, origini dello sviluppo e 
              cause della miseria, apertura dei mercati e appiattimento 
              culturale, e via affastellando, sono sostanzialmente sbagliate. E 
              non sono innocue: nei momenti di crisi, come dopo l'11 settembre, 
              impediscono di distinguere cause ed effetti, quindi di prendere 
              posizioni e decisioni utili. Basta leggere quanto hanno detto 
              Dario Fo o Susan Sontag.
 
 Quali colpe ha la sinistra nel suo rapporto 
              con la piazza? Riuscirà a ricucire il rapporto con la "società 
              civile" senza ricadere nella demagogia?
 
 Non ho particolare simpatia né per la piazza né per la "società 
              civile". Credo invece che l'adesione, diciamo pure l'entusiasmo, 
              che hanno saputo suscitare l'Ulivo di Prodi, e, alla fine della 
              campagna, anche l'Ulivo di Rutelli-Fassino, dimostri la 
              possibilità di suscitare passione civile e politica senza dover 
              cedere né alla demagogia della piazza né al generico sentimento 
              prepolitico che sovente anima la cosiddetta società civile.
 
 Cosa rappresenta Bertinotti per la politica 
              italiana? E giusto che una sinistra italiana moderna, che vuole 
              ispirarsi alla socialdemocrazia europea, guardi con simpatia ai 
              centri sociali, al popolo antiglobal e protezionista di Josè Bovè, 
              ai terzomondisti fautori della Tobin Tax?
 
 E' inevitabile che in ogni società complessa e libera esistano 
              aree di disagio sociale, di irriducibile dissenso ideologico. 
              Intercettarlo e offrirgli uno sbocco politico è sicuramente utile. 
              Credo però che non si debba perdere di vista l'obbiettivo di 
              comprendere tutti, di conquistare tutti al disegno riformatore. 
              Contenere e isolare il dissenso può essere inevitabile, quindi 
              anche utile, ma chi vuole governare il paese e ha un'idea di come 
              farlo, deve guardare oltre, perché molto più ambizioso e difficile 
              è il suo obbiettivo. E' come per la protesta degli 
              antiglobalizzatori: se un'idea è sbagliata non diventa giusta per 
              convenienza.
 
 23 novembre 2001
 
 gmosse@tin.it
 
 
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