Lo scalpo di Pirro
di Arturo Diaconale
La sinistra esibisce trionfante lo scalpo metaforico di Carlo
Taormina. E rivendica orgogliosa il merito di aver cacciato il
sottosegretario agli Interni dal suo incarico al Viminale. I suoi
dirigenti sembrano convinti di aver ancora una volta ripetuto le
vittoriose operazioni che portarono , dalla metà degli anni ’90 ad
oggi, alla progressiva defenestrazione di tutti gli uomini di
governo non graditi dall’ala giustizialista della magistratura
italiana. Accanto alla sinistra un pizzico di soddisfazione lo
mostrano anche quegli esponenti di alcuni partiti della coalizione
di governo che avevano puntato sulla cacciata di Taormina per
ingraziarsi i settori più corporativi dell’Associazione Nazionale
Magistrati. Ma gli uni e gli altri compiono un clamoroso errore. I
dirigenti di sinistra non si rendono conto che la defenestrazione
del pugnace avvocato costituisce un successo ridicolo rispetto al
disastro costituito dall’ennesima e più clamorosa dimostrazione
della totale subordinazione dell’opposizione a pochi e sempre più
isolati magistrati ideologizzati.
I Ds hanno celebrato un congresso per compiere la svolta
riformista e per liberarsi dalla zavorra giustizialista che negli
ultimi anni ha garantito solo sconfitte elettorali. Ed ora sono
ritornati al punto di partenza. Con l’aggravante che l’uscita di
scena di Taormina cancella la cortina fumogena che la sinistra
aveva artificiosamente innalzato attorno al problema irrisolto
della giustizia ingiusta perché politicizzata. E giustifica
l’avvio da parte della maggioranza di una azione più incisiva e
determinata per far rientrare nelle Procure le pattuglie golpiste
dei magistrati della via giudiziaria al socialismo. La sinistra,
in pratica, ha ottenuto un risultato che la caccia in un vicolo
cieco. D’ora in poi si ritroverà costantemente schiacciata tra le
iniziative della maggioranza tese a risolvere in senso garantista
le questioni della giustizia e la resistenza ad oltranza dei
giapponesi delle correnti ideologizzate dell’Anm. Senza alcuna
possibilità di recuperare quella capacità di azione politica che
Piero Fassino sembrava ricercare ad ogni costo. Addirittura
peggio, però, si trovano quei settori della maggioranza che
pensavano di sacrificare Taormina per stabilire un rapporto
privilegiato con i settori corporativi della magistratura.
La grande maggioranza dell’elettorato della Casa delle libertà non
ha bocciato il centro sinistra per vedere mortificati gli uomini
più rappresentativi delle battaglie contro la giustizia fasulla e
proterva della magistratura politicizzata. Di qui la facile
previsione che il caso Taormina provocherà l’automatica nascita
all’interno del centrodestra di un gruppo di pressione trasversale
deciso a farsi carico della volontà dell’elettorato. Anche e
soprattutto a dispetto di quanti , una volta arrivati al governo,
si sono affrettati a disattendere l’impegno assunto con i propri
votanti a non cedere alla sinistra su una questione determinante
come quella della giustizia. L’unico a guadagnare in questa
singolare vicenda è Silvio Berlusconi. I suoi avversari esterni
sono tornati nelle sabbie mobili del giustizialismo, i suoi
alleati più tiepidi si sono dimostrati incapaci di rappresentare
le istanze più profonde dell’elettorato moderato confermando di
essere uomini di partito e non di coalizione, i suoi amici più
veri e fidati hanno capito che se non si organizzano per
realizzare le grandi battaglie del cambiamento il futuro del
centro destra può diventare incerto.
7 dicembre 2001
diaconale@opinione.it
da "L'opinione delle Libertà"
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