“Ciò che conta è la difesa dell’interesse
nazionale”
intervista a Luigi Ramponi di Pierpaolo La Rosa
Intercettazioni, violazioni di domicilio, perfino furti: sono le
principali novità della riforma dei servizi segreti annunciata dal
ministro della Funzione Pubblica, Franco Frattini. Una vera e
propria rivoluzione attende gli 007 di casa nostra, che durante le
loro missioni potranno commettere reati - tranne, naturalmente,
uccidere o provocare ferite - senza per questo venire puniti.
Anzi, delle loro operazioni saranno informati solo il direttore
del servizio e la presidenza del Consiglio, non il magistrato. E
qualcuno, specie dalle file dell’opposizione di centrosinistra, ha
già parlato di “cimice selvaggia” e di diritti fondamentali
calpestati. Eppure, qualche potere al limite della legalità per
gli uomini dell’intelligence si rende necessario, alla luce
peraltro delle temibili cellule fondamentaliste islamiche scoperte
sul territorio italiano e riconducibili alla rete terroristica di
Osama bin Laden. “Un elemento interessante - afferma Luigi
Ramponi, ex numero uno del Sismi, ora presidente della Commissione
Difesa di Montecitorio - è quello di tutelare chi, svolgendo
attività proprie dei servizi, possa violare l’attuale legislazione
che impedisce comunque di fare intercettazioni o di guardare la
corrispondenza”.
E allora, onorevole, come giudica il
progetto di riforma, tanto contestato dall’opposizione?
Ho sentito alzarsi alti lai perché gli 007 agirebbero agli ordini
del presidente del Consiglio, ma ciò è un falso problema: già
oggi, il premier ha la responsabilità sia della struttura
dell’intelligence che dell’operato di questa. In fondo, non vedo
quali novità ci siano rispetto al passato. Aggiungo che sarebbe
davvero un bene se la nomina del capo dei servizi si svolgesse
attraverso un autentico dibattito in parlamento, come del resto
accade in altri paesi.
Ma tutte queste licenze concesse ai nostri
James Bond non potrebbero configurare una pericolosa restrizione
di libertà preziose?
Sono una violazione, non c’è alcun dubbio al riguardo. Basti
pensare alle intercettazioni che certo mal si conciliano con il
legittimo diritto alla privacy. Bisogna però partire da una
premessa fondamentale.
Quale?
Compito dell’intelligence è quello di operare per la tutela
dell’interesse nazionale. Davanti a tanti movimenti sotterranei, a
tante azioni perverse nei confronti della società e delle
istituzioni,è giusto che lo stato a sua volta si difenda. D’altra
parte, esistono esasperazioni di protezione di interessi propri da
parte di movimenti estremisti o di altri stati che cercano di
conoscere notizie e fatti di casa nostra, che possano servire loro
nei rapporti politici o in quelli economico-finanziari: e questa è
un’attività che esiste, inutile far finta di niente.
Dopo i tragici fatti dell’11 settembre, cosa
è realmente cambiato nelle strategie di sicurezza adottate in
Italia?
Non molto. Anche dieci anni fa, quando ero a capo del Sismi,
avevamo rapporti piuttosto stretti con i servizi dell’area
mediterranea, oltre che con quelli della comunità occidentale.
Quando parlo di rapporti, dico che i nostri esperti del terrorismo
erano in diretto contatto con i loro colleghi di Libia, Egitto,
Siria. Nel lontano 1991 i meeting riferiti a Hamas, a Hezbollah,
ai centri di addestramento in Sudan, erano abbastanza normali. Gli
unici a non rimanere sorpresi dall’attacco alle Torri Gemelle e al
Pentagono, sono stati proprio quelli che si occupavano di queste
cose.
Per Natale si temono possibili attentati
anche qui da noi: dobbiamo essere preoccupati?
Non più di tanto, anzi direi meno di prima. Alla luce delle stragi
di New York e Washington, pensavamo che ci potesse essere una
proliferazione di attacchi; per fortuna, bin Laden e Al Qaeda si
sono rivelati più deboli di quanto non temessimo. Certo, nessuno è
in grado di dire che oggi siamo tranquilli. Persino Israele, che
ha una struttura di intelligence di prim’ordine, è stata colpita
nei giorni scorsi dai kamikaze.
E’ sorpreso dalla proliferazione di gruppi
fondamentalisti di matrice islamica in Italia?
E’ molto difficile individuare, nel contesto generale delle
legittime cellule religiose, quelle che possano contenere una
componente terrorista. Movimenti precedenti come gli Hezbollah non
avevano così manifeste connessioni con gli aggregati religiosi.
Forse il fenomeno è stato pure sottovalutato: questa rete si è
costituita lentamente, nell’ombra, e non abbiamo avuto neanche
attentati in Italia. Non mi sento però di gettare la croce addosso
ai nostri servizi di sicurezza: il mestiere dell’agente segreto
non è dei più semplici.
7 dicembre 2001
pplarosa@hotmail.com
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