Taormina, l’epilogo, la Costituzione
di Mauro Mellini
Non credo che sia frutto della personale amicizia la
considerazione che Taormina ha reso al Paese, al Governo ed alla
Maggioranza un grande servizio. Non come qualcuno “magnanimamente”
(ma non troppo) borbotta, cioè rassegnando le dimissioni, ma
invece proprio facendo scoppiare il suo caso, inducendo Governo,
Maggioranza ed Opposizione ad intimargli o, rispettivamente, ad
implorarlo di andarsene, provocando quello “scontro frontale” che
tutti (forse a cominciare da Ciampi) proclamavano dover essere
scongiurato e che, con il suo tempismo, ha costretto il Ministro
ad ingaggiare, provocando, finalmente, nelle aule parlamentari una
denuncia chiara e forte del golpe dei giudici e della necessità di
venirne a capo.
A ciò si dovrebbe aggiungere il merito di aver fatto venire allo
scoperto certi beneficiari della risposta rappresentata dalla
scesa in campo di Berlusconi, senza la quale sarebbero rimasti a
fare la frangia perplessa ed emarginata della DC di Rosy Bindi, o
magari sarebbero finiti vittime di un’assai più violento
terrorismo giudiziario. Beneficiari che mugugnano e sognano di
gettare ponti e di “distinguersi”, predicando intanto appunto, la
necessità di evitare scontri frontali. Di fronte a questi meriti
non direi di dolermi che Taormina abbia però dovuto lasciare il
sottosegretariato. E ciò non perché il suo modo di comportarsi
rendesse ciò “inevitabile”.
Al contrario. Ho sempre ritenuto che in quel sottosegretariato
all’Interno, e con quelle deleghe ricevute, Taormina fosse l’uomo
giusto al posto sbagliato. Sprecato, in considerazione di quello
che avrebbe assai meglio potuto fare, ad esempio, in Commissione
Giustizia, o in altre commissioni speciali, con la sua
preparazione e la sua esperienza. La soluzione del caso deve
quindi considerarsi un capolavoro di strategia
politico-istituzionale; tutto è andato per il meglio? La risposta
non può essere affermativa, perché il solo fatto che sia stata
proposta e messa in discussione una mozione per la rimozione di un
sottosegretario, così come fu proposta, discussa e respinta quella
di sfiducia contro Scajola e, nella precedente legislatura, quella
contro Mancuso (vergognosamente approvata) significa non tanto che
si stia consolidando la violazione sistematica della Costituzione,
ma che il suo stesso carattere fondamentale sia stravolto, e ciò
non solo senza osservare le forme per le modifiche costituzionali,
ma senza neppure rendersene chiaramente conto, senza effettivo
dibattito, quale frutto di mera ignoranza che sempre più vado
convincendomi, non so se per sopravvenuta saggezza o per un
estremo intento autoconsolatorio, essere elemento di evoluzione
dell’ordinamento giuridico al pari della scienza e della
giurisprudenza (che, a sua volta può essere espressione sia di
scienza che di ignoranza).
Cominciamo col dire che la mozione di sfiducia nei confronti di un
singolo ministro, di cui si cominciò a parlare, non a caso, in
piena era consociativa e, pure non a caso, quando sembrava
impensabile che si trattasse di iniziative parlamentari
suscettibili sul serio di sbocco positivo, stravolge il sistema di
governo e di regime parlamentare, sostituendolo con quello, assai
diverso, se non opposto, di governo d’Assemblea. Il regime
parlamentare, adottato dalla nostra Costituzione, comporta che il
governo, autonomo nella sua composizione dal Parlamento, abbia nel
suo complesso, solidalmente, un rapporto di fiducia con le Camere.
Rapporto solidale e non frazionabile, ed, intanto, tale da non
consentire in alcun modo che i ministri possano considerarsi
mandatari dell’Assemblea, come quelli (di giacobina memoria) dei
governi espressione diretta dell’Assemblea stessa.
Ora il sistema parlamentare puro è in discussione, si vagheggia (e
si attua, di fatto) in qualche misura il sistema presidenziale. Ma
nessuno, anche nelle discussioni, vagheggia il “governo
d’assemblea” e si legifera, per esempio, per le regioni e i
comuni, per scongiurare anche la possibilità che esso si realizzi
di fatto, rafforzando, invece, l’autonomia dell’esecutivo. La
mozione di sfiducia nei confronti del singolo ministro ed ancor
più quella, che in fondo ne è la caricatura, per la rimozione di
un sottosegretario, è frutto di una prassi che si muove in senso
opposto alle teorizzazioni di ventilate riforme. Ma c’è di più e
di assai più grave.
Questa prassi conferma che il riformismo costituzionale ed
istituzionale sta esaurendosi, da una parte, in una sorta di
vaniloquio e, dall’altra, nell’esautoramento della costituzione
vigente, nel lassismo e nel pressappochismo costituzionale e
parlamentare, in una sorta di deregulation costituzionale, tanto
per usare un termine anglosassone e quindi di moda. Lassismo e
pressappochismo che si manifestano pure (me ne facciano venia)
negli interventi dei Presidenti della Repubblica, del Senato e
della Camera, che appaiono talvolta corrispondenti ad un altro
tipo del loro ruolo istituzionale. Se questo è riformismo (che non
sia quello, mi si perdoni ancora, espressione del ruolo evolutivo
dell’ignoranza) non lo so proprio. Sarà grettezza, angustia
mentale, ma sono convinto che la prima riforma costituzionale da
realizzare sarebbe quella di imparare a rispettare la Costituzione
che c’è.
7 dicembre 2001
da "L'opinione delle Libertà"
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