Che fine ha fatto la sinistra garantista?
di Cristina Missiroli
La sinistra non è poi così compatta nel gridare allo scandalo per
il braccio di ferro che l’Italia ha innescato con i 14 partner
dell’unione europea sul tema delle euro-manette. Se la maggior
parte dell’Ulivo si è gettata di gran corsa sull’opportunità di
crocifiggere il governo Berlusconi, una parte della sinistra
ricorda le sue origini garantiste e si dissocia dall’attacco
forsennato. E’ il caso di Giuliano Pisapia. L'esponente del Prc ha
affermato che il mandato di cattura europeo è: "incostituzionale e
pericoloso per le garanzie individuali. E' fondamentale
rafforzare, snellire e approvare norme per rendere più efficace e
celere la cooperazione giudiziaria, ma senza violare i principi
costituzionali e senza derogare alle regole fondamentali del
nostro ordinamento giuridico. Fino a quando non vi sarà una
Costituzione europea, infatti, l'introduzione del mandato di
cattura europeo nel nostro paese pone forti e fondati dubbi di
costituzionalità, contrasta con i principi base di uno stato di
diritto e con le garanzie fondamentali del nostro ordinamento.
Sarebbe infatti possibile un mandato di cattura per fatti che in
Italia non sono considerati reato e per i quali è vietata
l'estradizione".
Non è un mistero infatti che gli stati dell'Ue abbiano attualmente
tradizioni molto diverse nel garantire le libertà civili ed
esperienze altrettanto dissimili nel combattere il terrorismo.
Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Portogallo e Spagna
hanno tutte leggi speciali che regolano gli atti terroristici, ma
la collaborazione tra i diversi paesi è stata discontinua finora.
I giudici britannici, ad esempio, dal 1995 si rifiutano di
acconsentire alle richieste ed estradare il militante islamico
algerino Rachid Ramda, accusato da Parigi di aver preso parte
all'ondata di attacchi terroristici in Francia, nella quale morte
otto persone e altre 200 sono rimaste ferite. La Francia, da parte
sua, ha offerto rifugio a decine di persone accusate dall'Italia
di aver partecipato agli attacchi terroristici condotti negli anni
'70 dalle Brigate Rosse, tra i quali Oreste Scalzone, forse il più
noto dei rifugiati politici italiani in Francia, Alvaro Lojacono,
arrestato in Corsica nell’estate del 2000, e fino a poco tempo fa
Toni Negri, ora detenuto in Italia.
Il problema della possibile estradizione dei terroristi italiani,
infatti, si pose già nel 1997 con l’entrata in vigore del trattato
di Schengen sulla libera circolazione delle persone. In quel caso
i rifugiati politici italiani scrissero al presidente Jacques
Chirac e al primo ministro Lionel Jospin per chiedere di “fare una
scelta”, chiara e definitiva, sulla loro situazione in Francia.
Difatti, dopo l’entrata dell’Italia nella ”zona Schengen” la
posizione di rifugiato politico, che era stata concessa all’inizio
degli anni ’80 dall’allora presidente Mitterrand ai condannati
degli anni di piombo, era entrata in acque turbolente. Con
Schengen era entrato in vigore un automatismo: ogni mandato
d’arresto inscritto dai giudici italiani nel Sis (Sistema
informatico europeo) si traduceva immediatamente in un ordine di
arresto provvisorio in Francia. Accadde così che Franco Pinna, ex
Br residente a Montreuil, fu fermato il 6 gennaio 1998, a Alfredo
Davanzo, che subì la stessa sorte alcuni giorni dopo e a Sergio
Tornaghi, arrestato vicino a Bordeaux mentre portava a scuola la
figlia. Tutti e tre sono stati poi rilasciati. L’estradizione non
risultò automatica come l’arresto e oggi la situazione si è di
nuovo calmata. Almeno fino all’accordo sulle euro-manette.
Ad essere maligni si potrebbe dire che Pisapia si preoccupi delle
conseguenze che il mandato di cattura europeo potrebbe avere per
molti suoi “compagni di lotta” e di credo politico che, solo
grazie all’accoglienza ottenuta in Francia, sono riusciti ad
evitare il carcere. In realtà la questione è molto più complessa.
L'integrazione europea continua purtroppo a procedere dall'alto,
attraverso le intese governative, e grazie a una forte
collaborazione e integrazione di alcuni apparati statali e
amministrativi, di cui la Giustizia e le Polizie costituiscono
degli esempi pilota. Il che solleva una questione decisiva: è
opportuno continuare nella costruzione di uno “spazio giudiziario
e di polizia” unico, senza aver prima definito i termini
prioritari che regolano lo “spazio politico e giuridico”, col
rischio più che evidente di nuocere alla tutela delle libertà
personali?
14 dicembre 2001
alexbezzi@usa.net
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