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              Craxi due anni dopodi Gianni Baget Bozzo
 
 Parlare di Bettino Craxi è per me parlare di una figura centrale 
              nella storia della mia vita. Un prete cattolico, felice di essere 
              tale, non resta per dieci anni sospeso “a divinis” per una causa 
              leggera. E questa causa fu il Psi di Bettino Craxi. Voglio porre 
              le due cose insieme perché ritengo che il Psi e Craxi siano 
              inseparabili: la fine dell’uno ha significato la fine dell’altro. 
              Craxi non rappresentava solo il Psi: rappresentava tutta la 
              tradizione socialista italiana. Con la morte di Craxi non è stato 
              solo il Psi a scomparire: è stato anche il Pci. E comprendo come 
              gli ultimi atti della vita di Bettino (anche quello che non 
              approvai: il solo far entrare Occhetto nell’internazionale) 
              rispondeva ad un senso politico profondo; che i destini del Pci 
              erano legati a quelli del Psi e che il partito di Gramsci e di 
              Togliatti era un tronco che viveva delle radici del partito di 
              Turati, di Matteotti e di Buozzi. Ecco perché la biografia di 
              Craxi non si può ancora scrivere: perché essa prende piena luce 
              nella sconfitta, nell’annullamento del Pci, nel governo D’Alema e 
              nelle elezioni del 2001.
 
 Si sa con quale pervicacia ho combattuto, dal ’93 in poi, i 
              postcomunisti, credo addirittura di essere stato io ad imporre 
              questo termine nell’uso giornalistico. Eppure io, da buon craxiano 
              avevo creduto nella redimibilità del Pci attraverso il Psi: e cioè 
              che Craxi potesse contaminare anche il partito di Antonio Gramsci 
              e di Palmiro Togliatti. Quando nell’84 scelsi la candidatura 
              socialista, accettando di diventare un reietto ecclesiastico, 
              speravo che Craxi potesse contribuire a una riscoperta delle 
              radici socialiste democratiche del Pci. E credo che ci sarebbe 
              riuscito, se il mondo cattolico non fosse diventato filocomunista 
              in chiave integralista ed illiberale. E attribuisco le 
              responsabilità della involuzione del Pci dal ’92 in poi, alla 
              Chiesa e non al Pci stesso. Il Pci sceglieva il clericalismo e non 
              il socialismo; e il clericalismo è sempre la scelta peggiore. Io 
              ho visto il governo del Caf come il logoramento cosciente del Psi: 
              e supplicai Bettino di fare le elezioni nel ’91, di staccarsi da 
              Andreotti a qualunque costo, di “vedere” il bluff “andreottiano 
              comunista”. Non riuscii a farmi capire. Ma è colpa mia: avevo una 
              tale venerazione per Bettino che mi convincevo che egli avesse 
              ragione anche quando pensavo in sostanza che avesse torto.
 
 L’errore di Craxi fu di non valutare quanto fossero pericolosi i 
              democristiani. Il Caf fu la tomba del Psi. L’ho sempre vissuto: la 
              percezione della trama mi causò il dramma di Geremia e di 
              Cassandra; o di Laoconte; vedere il cavallo di Troia e di non 
              avere argomenti razionali per farmi capire. Vedevo con gli occhi, 
              sentivo con il corpo, ma non riuscivo a dire a Craxi ciò che 
              sempre pensai: “time Andreotti et dona ferentem”. La divina 
              giustizia è poi intervenuta: e i democristiani e in particolare 
              Andreotti sono stati presi dalla trappola che essi stessi avevano 
              costruito. La Dc ha mangiato il Psi, ma un gatto più grosso ha 
              mangiato la stessa Dc. La Democrazia cristiana, annientando il 
              Psi, ha reso possibile che fosse portato al suo cuore il colpo 
              mortale. Non so dire se fossero mani americane, europee o 
              finanziarie ad agire, ma i democristiani furono persi nella 
              manovra che essi avevano costruito per distruggere Craxi. Chi è 
              Bettino Craxi? La vocazione di un destino perché non c’è niente, 
              nella storia di Craxi giovane, che dia il sussulto: insomma il 
              giovane secondo di Nenni, una figura secondaria di 
              un’organizzazione di partito non al livello degli intellettuali 
              del Psi: De Martino, Signorile, Cicchitto, le vecchie volpi come 
              Mancini, insomma l’establishmente del Psi.
 
 Quel gruppo di gente di intellettuali pensava con Rodolfo Morandi 
              che il Psi fosse un residuo storico, e che poteva vivere solo 
              aderendo al filone dominante il Pci. Craxi era un nenniano: e 
              Nenni era l’uomo, che era ad un tempo il maggiore responsabile 
              della comunistizzazione del Psi e colui che aveva capito il grave 
              errore che aveva commesso ed a cui non aveva potuto rimediare. Il 
              nennismo era fallito nella contestuale subordinazione governativa 
              alla Dc ed a quella politica al Pci: ma Nenni era sempre l’uomo 
              che aveva testimoniato, tre volte nella vita, l’irriducibilità del 
              Psi al Pci. Ma non riuscito a rompere quella doppia subordinazione 
              un Psi, ad un tempo corrotto dal governare senza convinzione e 
              roso dal sospetto di non essere che un tramite non necessario tra 
              democristiani e comunisti.
 
 Ho vissuto la storia del Psi dall’esterno sino al ’78 e quindi non 
              so nulla del modo in cui Craxi giunse alla direzione del Psi: 
              credo perché fosse il signor Nessuno, visto che i diadochi di De 
              Martino e di Mancini si vietavano reciprocamente. Ma infine c’è un 
              modo di cambiare la storia: il “colpo di genio” di Craxi fu la 
              proposta della trattativa con le Br per l’atto di clemenza. Non 
              c’era un gesto che potesse sparigliare l’intesa 
              democristiano-comunista come la richiesta socialista di trattare 
              con le Br, sia pure informalmente. Era una cosa già avvenuta, in 
              Italia e fuori. Ma essa distrusse il castello di carta 
              democristiano-comunista d’un colpo, Paolo VI era infine il grande 
              riferimento dell’operazione “governo di unità nazionale”: era 
              obbligato, e fu obbligato, a segnare la condanna di morte di Moro. 
              Berlinguer e Zaccagnini dovettero fare della Dc un solo partito, 
              il “partito della fermezza”. E con ciò posero le basi della crisi 
              della “unità nazionale” ed anche del “compromesso storico”. Craxi 
              fece l’unico gesto possibile ad una che non aveva forza politica: 
              si sottrasse; uscì dal gioco.
 
 In quel momento nacque lo spariglio ed il risultato fu che una 
              parte dei democristiani che aveva subito il gioco di Paolo VI e di 
              Moro ne approfittarono per liquidare la possibilità di una intesa 
              di governo della Dc con i comunisti. Poco dopo i comunisti fecero 
              lo stesso. Da quel momento il Psi ebbe di colpo in mano le carte 
              decisive; divenne l’unico alleato possibile. Ed un alleato non 
              clericale come i comunisti ma un alleato laico. Ed un alleato 
              occidentale. Nacque in Italia una forza laica ed occidentale che 
              in Italia non era mai esistita. E Craxi saldò con la 
              socialdemocrazia tedesca quell’asse sugli euromissili che doveva 
              trasformare il leader del Psi in un leader del socialismo europeo. 
              Tutte le carte erano state rovesciate. Il terrorismo aveva 
              distrutto il compromesso storico, ed anche se stesso. Di ciò il 
              Psi di Craxi era stato beneficiario.
 
 E vennero gli anni d’oro di Bettino: il governo. E il decreto 
              sulla scala mobile e l’alleanza con la Cisl e il referendum. In 
              quegli anni era nata un’Italia non democristiana e non comunista: 
              ma era possibile il sogno? Eppure Craxi aveva posto le basi di un 
              corretto rapporto tra Chiesa e Stato: il nuovo Concordato dava un 
              profilo laico ai rapporti tra Chiesa e Stato ma era in concreto 
              molto favorevole alla Chiesa. Ma il Concordato non fu sufficiente 
              a sclericalizzare la politica italiana. E da allora il problema 
              dei democristiani (andreottiani e sinistra) divenne uno solo come 
              contenere la linea laica nazionale e occidentale di Craxi. Fu un 
              errore Sigonella? Fu la politica italiana in quel momento troppo 
              filopalestinese? Il sentimento del garibaldino Craxi per i 
              movimenti nazionali lo portò troppo su una linea di scontro con 
              gli Stati Uniti e con Israele? Fu un problema che mi posi allora e 
              mi posi dopo. Ma nella linea di Craxi, quella linea tendeva a 
              mostrare ai comunisti che la linea occidentale consentiva anche 
              spazi di autonomia nazionale. Ma l’antisocialismo del Pci non 
              faceva parte della politica del Pci ma della sua essenza, che 
              comportava l’emarginazione delle radici laiche e libertarie del 
              socialismo. Non una, non dieci Sigonella sarebbero bastate per 
              indurre i comunisti a non considerare Craxi come il Nemico 
              storico. Ed il cinismo democristiano aveva sempre preferito 
              trattare con il clericalismo ateo dei comunisti che con la libertà 
              e la laicità socialista.
 
 E giunse una grande occasione: la caduta del muro nell’89, la 
              caduta dell’Urss nel ’91. Non era possibile che, caduta la linea 
              di Livorno, si aprisse la via dell’unità socialista? Craxi lo 
              credette. Ed avvenne il contrario. Perché aveva vinto 
              storicamente, Craxi andava eliminato politicamente. Le elezioni 
              presidenziali del ’92 furono il principio dell’esecuzione. E Craxi 
              in esilio, bollato come ladro: un capolavoro di omicidio politico, 
              che misura la potenza degli odi, comunisti e democristiani, e 
              soprattutto dei cattolici di sinistra non democristiani, che si 
              stavano affermando con Romano Prodi. La storia di Craxi diviene 
              una tragedia socialista; la sconfitta del socialismo democratico 
              che era il sale della storia politica italiana del XX secolo. Ciò 
              aveva trasformato la lotta tra democristiani e comunisti in 
              complicità per distruggere una forza che aveva la libertà, come 
              valore di riferimento. L’alleanza tra cattolici di sinistra ed i 
              comunisti con i giudici fece fuori i democristiani. E Scalfaro e 
              Prodi regnarono. Ma la linea di libertà era rimasta in piedi, e fu 
              Berlusconi a riprendere il testimone strappato dalle mani di 
              Craxi. Ed i postcomunisti oggi marciano ad Assisi con gli 
              antagonisti e i no global mentre Blair e Schroeder si onorano di 
              combattere la guerra d’Occidente. Forza Italia è l’erede di Craxi, 
              non come leader socialista ma per quello che egli fu e volle 
              essere realmente: un leader nazionale. La maggioranza uscita dalle 
              elezioni del 2001 non nasce dai partiti, nasce dal popolo.
 
 L’Italia laica nasce perché l’Italia clericale è antioccidentale. 
              E ciò non grazie ai comunisti, ma alla secolarizzazione che 
              attanaglia da quarant’anni la Chiesa italiana e la spinge su linee 
              neognostiche che ricordano fraticelli ed anabattisti. La storia 
              del cattolicesimo politico è finita come è finita quella del 
              partito di Gramsci e di Togliatti. Il paese delineatosi nel 2001 
              dopo la sconfitta di tutti i partiti della prima Repubblica è la 
              realizzazione compiuta di quel filone laico, moderno, moderato e 
              riformista che Craxi era riuscito a mettere in luce attraverso una 
              cultura popolare che si era formata oltre tutti i partiti e che 
              sarebbe emersa solo al prezzo della distruzione di tutti i 
              partiti, anche e soprattutto, del partito che tutti i partiti 
              avevano voluto distruggere, il partito di Bettino Craxi.
 
 Craxi è stato infatti il leader della nazione che ha portato 
              l’Italia coscientemente oltre il regime dei partiti: dalla lotta 
              contro il voto segreto alla lotta per la Repubblica presidenziale, 
              l’iniziativa di una Italia in cui le istituzioni soverchiano i 
              partiti è stato il contenuto della battaglia di Craxi. La 
              contraddizione stava nel fatto che egli poteva cercare di mutare 
              il sistema solo dall’interno di un partito marginale, che aveva 
              meno spazio degli altri partiti e doveva arrancare per garantire 
              il suo spazio nel sistema della partitizzazione dello stato, opera 
              dei democristiani e dei comunisti, Craxi poteva agire 
              politicamente solo come segretario del Psi: ed essere segretario 
              del Psi gli impediva di divenire quel leader nazionale che egli 
              era politicamente e storicamente.
 
 Forse passerà ancora qualche anno perché si possa riconoscere chi 
              è stato Bettino Craxi: il dramma italiano era tale che il 
              riconoscimento dell’opera di Craxi è potuta avvenire solo 
              attraverso la sua agonia fisica e la sua morte politica. Per ora 
              siamo allo stadio della testimonianza dei craxiani di sempre, ma 
              verrà un giorno in cui sarà possibile riconoscere che Craxi è 
              stato la vittima sacrificale di quel rinnovamento radicale della 
              politica italiana che è ora avvenuto: la fine dello stato dei 
              partiti, la fine dello stato che fu fascista, democristiano e 
              comunista e che oggi si avvia ad una stagione nuova laica e 
              liberale. E’ ancora una lotta, ma ora almeno il campo è chiarito, 
              il cammino è aperto.
 
 Bettino è una persona che ha cambiato la mia vita: e per cui ho 
              avuto un affetto che confinava con la venerazione. Ricordo la 
              gioia che provavo quando la “signora Elsa” mi comunicava un 
              appuntamento con Bettino, cui io andavo con tante cose da dire e 
              in cui poi mi limitavo spesso ad ascoltare più che parlare. 
              Rispettavo non un uomo, ma una vocazione e un destino. Poi, al 
              telefono da Hammamet ho assistito ad un martirio. Non userei altre 
              parole, le ho usate persino, predicando nella sua commemorazione. 
              Rimpiango che il mio sentimento di dover stare sul terreno 
              italiano, che era diverso da come lui se lo rappresentava, mi 
              abbia permesso solo un viaggio ad Hammamet. Ma essere craxiano è 
              per me qualcosa che mi appartiene anche adesso. Perché infine su 
              di lui ho giocato il mio stesso destino di italiano, di cristiano 
              e di prete. E ne sono fiero.
 
 18 gennaio 2002
 
 (da Ideazione 1-2002, gennaio-febbraio)
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