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              Berlusconi tra le riforme e il Colledi Pierluigi Mennitti
 
 Non è stato uno spettacolo edificante la giornata di inaugurazione 
              dell’anno giudiziario. Un sollevamento sopra le righe di un potere 
              dello stato contro un altro, una sceneggiata plateale che, lungi 
              dal testimoniare uno stato di disagio, ha evidenziato come la 
              questione giustizia - se lasciata in balìa di estremismi 
              ideologici - difficilmente potrà essere risolta nell’interesse del 
              cittadino: che resta quello di avere processi giusti e veloci. 
              Troppi se ne sono svolti - sull’onda giustizialista di 
              tangentopoli - con pubblici ministeri che, per motivi politici o 
              di protagonismo, hanno distrutto vite e reputazioni. Non solo dei 
              politici, ma anche dei poveri cristi come Scattone e Ferraro. 
              Sappiano certi magistrati alla Borrelli, che non tutti i cittadini 
              sono pronti ad applaudirlo ingenuamente come sette anni fa sotto 
              le finestre del fascistissimo palazzo di giustizia di Milano.
 
 E’ giunto dunque il momento, per il governo, di porre un argine a 
              questa deriva, assumendo su di sé anche il vero disagio di tanti 
              magistrati che restano (un po’ colpevolmente) nell’ombra e che 
              lavorano sodo cercando di superare le arretratezze e le storture 
              del sistema. E non si sentono ingaggiati in una battaglia 
              giacobina che toglie serenità e credibilità ad un corpo che 
              dovrebbe trasmettere ai cittadini equilibrio e austerità. Sì, che 
              brutto spettacolo l’apertura di quest’anno giudiziario, signor 
              Borrelli!
 
 Dalla giustizia ai sindacati, dalle opere pubbliche alla scuola, 
              si apre per il governo un periodo di lavoro intenso. La luna di 
              miele con l’elettorato è finita, come era ovvio che fosse. Adesso 
              tocca dimostrare di saper condurre a termine le riforme già 
              impostate (e magari rivederne qualcuna, come quella 
              sull’immigrazione), senza eccedere nelle tutele interessate di 
              Colli più o meno autorevoli. Il più autorevole di tutti, il 
              Quirinale, ha sinora mostrato grande equilibrio nel gestire le 
              questioni politiche. Ma è un equilibrio sottile che gli uomini del 
              Presidente (alcuni dei quali furono i consiglieri delle infauste 
              strategie di Oscar Luigi Scalfaro) potrebbero decidere di 
              oltrepassare. Sarebbe un gran peccato, dal momento che alcune 
              riforme - per intenderci quelle economiche che non piacciono a 
              Cofferati - ce le richiede espressamente quell’Unione Europea che 
              tanti venerano. A parole.
 
 18 gennaio 2002
 
 pmennitti@hotmail.com
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