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              Giustizia. Si può evitare lo scontro 
              frontale?di Paolo Zanetto
 
 C’era una volta il patto della crostata. Poco dopo la vittoria 
              dell’Ulivo nel ’96 il segretario del Pds, Massimo D’Alema, ebbe 
              l’idea di iniziare un dialogo con l’opposizione. Come sempre fu 
              Gianni Letta a combinare le cose: organizzò una cena a casa sua, 
              ospiti Berlusconi e il leader Massimo. Tra l’antipasto e il 
              secondo i due trovarono un accordo, che venne siglato davanti al 
              dolce: una eccellente crostata. Dopo la buona cena D’Alema divenne 
              presidente della commissione Bicamerale per le riforme 
              istituzionali, imponendo definitivamente la sua leadership sul 
              centro-sinistra, oscurando il mal sopportato Romano Prodi e 
              gettando le basi per arrivare a Palazzo Chigi. Dall’altra parte 
              Berlusconi sfruttò la sua fetta di crostata per uscire dall’angolo 
              del ring nel quale era stato cacciato dopo la sconfitta 
              elettorale, e riprese il pallino del dibattito politico, arrivando 
              infine a far saltare la Bicamerale. Il che naturalmente non 
              danneggiò D’Alema, e anzi permise ai due attori principali di 
              tornare a condurre le rispettive coalizioni verso le scadenze 
              elettorali.
 
 Il 13 maggio ha cambiato le posizioni, ma non i nomi. Oggi è la 
              coppia D’Alema-Fassino ad aver bisogno di uscire dall’angolo, 
              intontita dai colpi autolesionistici del “correntone” anti-Fassino 
              e dalla smania di protagonismo di Francesco Rutelli. Al piano 
              nobile del Botteghino sanno bene che il piacione è buono per la 
              campagna elettorale, ma che per tornare al governo ci vuole ben 
              altro. Ed ecco l’idea, già dichiarata sottovoce dal neo segretario 
              Ds: un nuovo patto della crostata. Gianni Letta non si tirerebbe 
              indietro, pronto ad officiare un nuovo accordo. Non si tratta di 
              “inciucio”, come fu liquidato il patto della Bicamerale: sarebbe 
              un momento alto e nobile di dialogo sulle riforme fondamentali, 
              quelle che non si possono fare a maggioranza. E sul piatto c’è il 
              vero tema scottante: la giustizia. Quella sacra parola che ha 
              segnato dieci lunghi anni della storia italiana, dalla prima 
              Repubblica a Mani Pulite, dai processi di Berlusconi al partito 
              dei giudici. Quel mostro intoccabile che appesta il dibattito 
              politico da molto, troppo tempo. Silvio Berlusconi, dopo anni di 
              processi e indagini che non hanno mai portato a una condanna 
              definitiva, sa bene quanto sia necessario cambiare il sistema. E 
              la parte illuminata della sinistra, quella degli “italianieuropei” 
              come Amato e D’Alema, è d’accordo: bisogna tornare alla politica e 
              ai suoi officianti per arrivare al “paese normale”, non c’è più 
              spazio per i talebani di Borrelli. E lo sa ancora meglio Piero 
              Fassino, che da ministro della Giustizia aveva presentato proposte 
              coraggiose. La riforma del diritto societario, il terribile 
              provvedimento che secondo Rutelli è stato concepito da Berlusconi 
              per risolvere i suoi problemi con il falso in bilancio, è nata in 
              realtà da un progetto dell’attuale segretario Ds.
 
 L’Italia non può più permettersi di giocare con il fuoco del 
              giustizialismo, con vecchi manettari come Borrelli o Santoro e 
              nuovi inquisitori stile Travaglio o Rutelli. A febbraio ricorre il 
              decennale dell’arresto di Mario Chiesa, e i lettori de L’Unità 
              andranno a esultare in piazza a Milano. Persino Luciano Violante, 
              che di tutto può essere accusato tranne che di disprezzo dei 
              giudici, ha fatto presente che le manette non si festeggiano, mai 
              e in nessun caso. Un asse per la giustizia darebbe nuovo spazio 
              politico a tutti gli interlocutori. Berlusconi potrebbe condurre 
              l’Italia fuori dal tunnel del giustizialismo, attraverso una 
              riforma ormai inderogabile. Fassino segnerebbe la sua segreteria 
              con un cammino importante, fatto di via socialdemocratica e 
              spirito riformista, sbaragliando il campo di un’opposizione 
              interna che si troverebbe in breve tempo a corto di argomenti 
              politici, costretta a ripiegare su insulti e criminalizzazioni. I 
              Ds otterrebbero un canale privilegiato con Palazzo Chigi per far 
              sentire la loro voce sulle mille questioni bipartisan, dalla 
              nobile politica estera alle materiali nomine Rai. L’operazione 
              farebbe tremare la terra sotto ai piedi di Rutelli, che non 
              vedrebbe più riconosciuta la sua leadership, lasciando spazio ai 
              suoi competitori anche all’interno della Margherita. Tutto il 
              centro-sinistra sarebbe aperto a nuove geometrie. E in questa 
              prospettiva c’è chi, con intelligenza e visione strategica, può 
              guadagnare molto. Lo scenario assomiglia al “dalemone”, il Risiko 
              della politica inventato dalle imitazioni di Serena Dandini. 
              Proprio quello in cui a muovere tutte le pedine c’era sempre 
              D’Alema.
 
 25 gennaio 2002
 
 zanetto@tin.it
 
              
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