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        Quei paladini che tradiscono i poveridi Paolo Del Debbio
 
 L’errore principale dei no-global è il pensare che si possano difendere 
        i poveri del mondo (l’aspetto sociale) lottando contro i ricchi del 
        mondo (la realtà economica). Così non si va da nessuna parte. In questa 
        settimana, a Porto Alegre, in Brasile,si riunisce il World Social Forum, 
        che raccoglie la galassia dei movimenti no-global. “Un altro mondo è 
        possibile?” è il loro slogan. Quale mondo? Altro rispetto a cosa? A 
        quello che si riunisce negli stessi giorni a New York, il World Economic 
        Forum, quello di Davos per intenderci, che raccoglie il gotha 
        dell’economia e che ha come slogan “Dirigere in tempi difficili”. Dopo 
        l’11 settembre a New York i rappresentanti dell’economia si chiedono 
        come far ripartire l’economia, cosa fare di nuovo per mettere in moto il 
        motore. Dopo l’11 settembre i no-global sostengono che quello che 
        dicevano prima è ancora più vero di prima: che i mali nascono proprio 
        dalla globalizzazione economica e che, forse, anche le Torri gemelle un 
        po’ sono crollate per quello. Perché nella povertà nasce anche il 
        fondamentalismo. Magari è anche vero, ma è certo che senza la 
        globalizzazione la povertà aumenta, non diminuisce. Altre sono le cose 
        da fare: non certo lottare contro i globalizzatori. Vediamone alcune.
 
 Qualche dato preso dalla Banca Mondiale. In uno dei suoi ultimi studi, 
        Global Economic Prospects 2002: Making Trade Work for the World’s Poor, 
        si sostiene che una ulteriore apertura e liberalizzazione del commercio 
        mondiale, soprattutto nei settori del tessile e dell’agricoltura, 
        porterebbe “un reddito globale supplementare di 2.800 miliardi di 
        dollari, un reddito supplementare di 1.500 miliardi di dollari per i 
        Paesi in via di sviluppo, una riduzione della povertà globale per circa 
        320 milioni di persone (…)”. A queste liberalizzazioni del commercio 
        internazionale si oppongono alcuni paesi che si incontreranno a New 
        York. Come, ad esempio, la Francia o l’Europa in generale. E alcuni di 
        coloro che, in nome delle economie nazionali da difendere, si oppongono 
        strenuamente all’apertura dei mercati agricoli, saranno anche a Porto 
        Alegre, in nome dei poveri del mondo come appunto i socialisti francesi. 
        Che confusione. Quanta demagogia. A metà novembre, a Doha, in Qatar, si 
        è riaperta una nuova sessione di negoziati commerciali e questo è ciò 
        che veramente deve chiedere oggi chi ha a cuore le sorti dei poveri del 
        mondo: che questi negoziati portino veramente a nuove e consistenti 
        liberalizzazioni, oltre le tradizionali chiusure. Da quelle 
        liberalizzazioni possono venire le risorse per battere la povertà. Non 
        c’è aiuto allo sviluppo al mondo che possa sostituirsi ai risultati 
        economici di una seria liberalizzazione dei commerci internazionali.
 
 L’eliminazione delle protezioni solo nel settore agricolo 
        rappresenterebbero, da qui al 2015, sempre secondo la World Bank, il 70 
        per cento del reddito supplementare di cui beneficerebbero i paesi in 
        via di sviluppo. Il resto verrebbe dal tessile e dal settore dei 
        servizi. Basti pensare che ad oggi le tariffe di molti prodotti agricoli 
        di interesse fondamentale per i paesi in via di sviluppo rimangono 
        elevatissime, alcune superiori al 200 o 300 per cento. Oppure 
        considerate il settore tessile-abbigliamento dove, nella sola Unione 
        Europea, soltanto 14 dei 219 prodotti per i quali si era decisa la 
        liberalizzazione nel ’95 sono stati di fatto liberalizzati.
 
 Questi sono i nodi da sciogliere. Nodi per i poveri. Nodi per l’economia 
        globale. Perché anche a costo di sembrare cinici occorre ricordare che 
        aprire nuovi mercati conviene a tutti. Chi non lo capisce nel mondo 
        industrializzato è vittima di una miopia ottusamente egoistica. Chi a 
        Porto Alegre continuerà a battersi contro queste liberalizzazioni creerà 
        nuovi nodi. Non sciogliendone neanche uno di quelli che esistono. Poi 
        c’è da fare molto altro, soprattutto nella difesa dei diritti umani. Ma 
        senza il motore dell’economia si fa poco dappertutto. Non si può andare 
        a Porto Alegre senza passare da New York.
 
 (da Il Giornale)
 
 1 febbraio 2002
 
 
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