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        Cassandre ecologiste in fugadi Nicola Iannello
 
 Nel 1980 due studiosi che si confrontavano in un dibattito sulle pagine 
        della “Social Science Quarterly” fecero una scommessa sui prezzi di 
        cinque metalli: da lì a dieci anni sarebbero aumentati o diminuiti? Non 
        si trattava di una sfida economica ma ecologica; infatti il prezzo è il 
        principale indicatore della scarsità o abbondanza di una risorsa. Per 
        Julian Simon tutti i metalli del paniere (cromo, rame, nichel, stagno e 
        tungsteno) sarebbero diventati meno cari, ovvero più abbondanti; per 
        Paul Ehrlich sarebbe accaduto il contrario. Nel 1990 il primo vinse la 
        scommessa. Il nome di Simon – professore di economia all’Università del 
        Maryland, morto nel 1998 – ha rappresentato per lungo tempo lo 
        spauracchio del catastrofismo ecologista, dell’ambientalismo 
        anti-capitalista e statalista. Proprio per questo, un professore 
        universitario di statistica, danese, militante di Greenpeace, tempo fa 
        si prese la briga di studiare le opere di Simon con lo scopo di 
        confutarle. Ma come ben sa la Chiesa, è pericoloso leggere testi 
        eretici. Infatti Bjørn Lomborg è diventato un eretico, e da quando il 
        suo “The Skeptical Environmentalist” è uscito l’anno scorso, la “chiesa” 
        ecologista grida “al rogo” (basti vedere il comico avviso ai giornalisti 
        diffuso su internet da WWF e World Resources Institute, in cui si 
        avvertono i recensori della pericolosità del libro). Basandosi sulle 
        stesse fonti statistiche cui attingono gli ambientalisti di maniera, il 
        professore danese ribalta i luoghi comuni più diffusi: la disponibilità 
        di risorse non diminuisce ma aumenta, gli effetti negativi del 
        “riscaldamento globale” sono ben lungi dall’esser dimostrati, la qualità 
        dell’aria migliora invece di peggiorare, ecc...
 
 Un libro pieno di numeri questo “ecologista scettico” che adotta il 
        punto di vista più proficuo per gli economisti avveduti, quel lungo 
        periodo così disprezzato da Keynes. Da questo angolo di osservazione – 
        che non si lascia confondere da temporanee crisi di panico – si può 
        constatare come l’umanità non se la passi poi così male; i problemi 
        certo non mancano – nessun osservatore serio nega l’inquinamento nei 
        paesi industrializzati, le carestie in quelli poveri, la 
        desertificazione di vaste aree del pianeta – ma vanno compresi con 
        categorie concettuali scientifiche. L’economia ci insegna a non restare 
        alla superficie delle cose; le risorse naturali significano qualcosa 
        solo perché c’è l’uomo a dar loro valore (il petrolio prima della 
        scoperta del suo uso per produrre energia, per le popolazioni arabe era 
        un inquinante dei pozzi d’acqua). Non a caso l’opera più famosa di 
        Julian Simon si intitola “The Ultimate Resource”, che potremmo tradurre 
        con la “risorsa fondamentale”, dove questa risorsa è appunto l’uomo.
 
 Il libro di Lomborg si inserisce nella tradizione economica liberale che 
        ha contribuito a spazzar via le cassandre ecologiste. Ricordiamo che 
        quest’anno ricorre il trentennale della pubblicazione dello sciagurato 
        “The Limits to Growth”, il rapporto per il Club di Roma di Donella e 
        Dennis Meadows, Jorgen Randers e William W. Behrens (“I limiti dello 
        sviluppo”, Mondadori, 1972). L’opera conteneva la quintessenza del 
        catastrofismo anti-capitalista: “Nell’ipotesi che l’attuale linea di 
        sviluppo continui inalterata nei cinque settori fondamentali 
        (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, 
        consumo delle risorse naturali) l’umanità è destinata a raggiungere i 
        limiti naturali dello sviluppo entro i prossimi cento anni. Il risultato 
        più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di 
        popolazione e del sistema industriale”.
 
 La scienza economica ci fornisce un altro esempio di teoria applicata a 
        un caso storico. Il premio Nobel Friederich von Hayek racconta di come 
        nell’immediato dopo guerra si voleva far fronte a una forte scarsità di 
        rame sul mercato mondiale, dove il prezzo schizzò alle stelle; alle 
        Nazioni Unite si pensò di razionarlo, ma per fortuna la misura non venne 
        adottata e il mercato – ovvero le persone che fanno scelte – trovò la 
        soluzione. L’alto prezzo del metallo non solo incoraggiò un uso più 
        parsimonioso e il riciclo, non solo rese convenienti investimenti per la 
        ricerca di nuovi filoni e miniere, ma incentivò a trovare sostituti. Il 
        risultato fu una maggior disponibilità di rame (il cui prezzo infatti 
        nel lungo periodo è calato) e l’invenzione delle fibre ottiche. Lo 
        stesso si potrebbe dire del petrolio, spesso portato a esempio dai 
        catastrofisti che dimenticano come il prezzo al consumo sia 
        artificiosamente tenuto alto da un cartello di stati. Questo l’economia 
        e il libro di Lomborg ci insegnano. L’ambiente – per parafrasare 
        Clémenceau – è una cosa troppo seria per lasciarlo nelle mani degli 
        ambientalisti. Chi ha a cuore il futuro del pianeta deve contribuire a 
        spezzare il monopolio degli ecologisti nella cultura e nella politica 
        ambientale.
 
 1 marzo 2002
 
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