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        Entrare nel mercato globale per superare il "gap"di Giuseppe Pennisi
 
 La "new economy" delle tecnologie dell'informazione e della 
        comunicazione crea nuove disuguaglianze? Solo qualche anno fa la "net 
        economy" era ancora agli albori e si temeva che avrebbe comportato un 
        processo di dislocazione ancora maggiore di quello verificatosi 
        all'epoca della prima rivoluzione industriale. Allora l'ipotesi era che 
        la tecnologia dell'informazione e della comunicazione avrebbe creato 
        nuove esclusioni, sia per fasce di età sia per fasce di reddito sia, 
        principalmente, tra paesi dotati e non dotati di infrastruttura di base. 
        Si pensi che alla metà degli anni Novanta, in tutta l'Africa a sud del 
        Sahara c'erano meno linee telefoniche di quante non ce ne fossero nella 
        sola città di Tokio. I timori non sono del tutto fugati. Tuttavia, 
        l'aumento del gap tra fasce di reddito appare contenuto anche nei paesi 
        in cui il reddito viene comunemente giudicato "spettacolare". E appare, 
        tutto sommato, moderato anche rispetto alle aspettative e alle 
        impressioni iniziali.
 
 Studi più recenti collocano la new economy nel contesto del processo 
        d'integrazione economica internazionale chiamato, giornalisticamente, 
        "globalizzazione". In breve, essi concludono che l'apertura ai mercati e 
        l'integrazione internazionale degli scambi, dei finanziamenti e degli 
        investimenti diretti hanno comportato un aumento delle ineguaglianze 
        mondiali (tra individui e famiglie, anche se non necessariamente tra 
        paesi) dal 1960 al 1975. Da allora, però, si è rilevata una graduale 
        diminuzione delle inuguaglianze, principalmente a ragione della rapida 
        crescita economica di Cina e India: i paesi in via di sviluppo che hanno 
        preso la strada della globalizzazione hanno registrato un tasso annuo di 
        crescita economica del 5% negli anni Novanta (rispetto al 2% riportato 
        dai paesi Ocse); tra il 1987 ed il 1998, la proporzione della 
        popolazione mondiale in "povertà estrema", ossia con meno di un dollaro 
        al giorno, è diminuita dal 28% al 23% - un "successo di proporzioni mai 
        registrate in precedenza nella storia dell'umanità". Pur partendo da 
        livelli di reddito inferiori, i paesi che hanno scelto la 
        globalizzazione, hanno superato quei paesi che, invece, sono rimasti 
        agganciati a politiche "chiuse".
 
 La storia economica, però, prova anche che l'integrazione economica 
        internazionale e la diffusione delle nuove tecnologie non sono 
        irreversibili: si è dovuto attendere sino alla fine degli anni Cinquanta 
        perché si tornasse ad un grado di integrazione internazionale, quale 
        quello prevalente nel 1910. Le fasi di rallentamento economico, come 
        quella in atto nel 2001, aggravano la minaccia di un ritorno al 
        protezionismo e al rallentamento della trasformazione tecnologica, 
        fenomeni fortemente correlati all'aumento della povertà. I casi di 
        successo negli anni Novanta, quelli di paesi in cui l'integrazione 
        economica internazionale e il progresso tecnologico sono stati 
        accompagnati da una riduzione della povertà, riguardano paesi (India, 
        Cina, Vietnam, Messico, Uganda e molti altri) in cui l'apertura al 
        mercato internazionale è stata sorretta dalla costruzione di istituzioni 
        solide in materia di giustizia, pluralismo di stampa, lotta alla 
        corruzione, sviluppo delle risorse umane ed infrastrutture di base nei 
        trasporti, nell'energia e nelle telecomunicazioni, tutti campi in cui 
        l'intervento pubblico è essenziale per creare e consolidare il capitale 
        sociale.
 
 Molte aree del mondo non partecipano al processo d'integrazione 
        economica internazionale e di diffusione della tecnologia, non in quanto 
        chiudono le porte delle loro economie e della loro società, ma per 
        ragioni geografiche, quali la distanza da reti di comunicazione e 
        conseguenti alti costi di trasporto, prevalenza di malattie come la 
        malaria e l'Aids ed alti tassi di mortalità e morbità. I flussi di 
        scambi e di investimenti non risolveranno i problemi di questi paesi e 
        le migrazioni possono farlo solo in parte, solo la strada degli aiuti, 
        pubblici e non solo, può condurli, gradualmente, verso il mercato 
        globale e quindi verso l'introduzione e diffusione della new economy.
 
 15 marzo 2002
 
        
        gi.pennisi@agora.it 
          
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