Giappone, quando il sole tramonta a Oriente
intervista a Sergio Romano di Claudio Landi
Fino a dieci anni fa il Giappone era l'emblema dell'economia trionfante dell'Asia contro un Occidente decadente. Oggi è il massimo esempio dello squilibrio di fondo di una globalizzazione non governata. Il Sol Levante, in effetti, è in piena deflazione da circa dieci anni; i governi di Tokio hanno cercato con tutti i mezzi conosciuti di ridare fiato alla domanda interna. Niente da fare, il giapponese non ci pensa proprio a spendere, non ha assolutamente fiducia nel futuro. Le politiche ultrakeynesiane di Tokio sono riuscite soltanto a ingingantire oltre ogni misura il debito statale. Un debito che ormai rischia di avvicinarsi, in poco tempo, al 200 per cento del pil e che si somma alla stratosferica cifra dei crediti inesegibili delle banche nipponiche (si parla di 500mila e più miliardi di lire). Ovviamente il Giappone ha le risorse per superare la crisi: le riserve valutarie della banca centrale possono ampiamente garantire il sistema bancario del paese e il debito pubblico è largamente interno (ovvero nelle mani degli stessi nipponici) e quindi può essere gestito a livello domestico, per così dire.
Ma il punto è: il Giappone riuscirà a mobilitare con efficienza e forza le sue ingentissime risorse finanziarie e umane per fare le necessarie riforme? Per dirla in altre parole, il sistema politico, la classe politica, la pubblica opinione riusciranno a cambiare? Sì, perchè il problema del Giappone in qualche modo ci ricorda la nostra Italia. Anche il Giappone ha conosciuto in cinquanta anni il predominio di un solo partito, il Pld, i liberaldemocratici. Anche in Giappone classe e sistema politico sono oltremodo corrotti. Anche in Giappone, gli intrecci politica-economia-malavita hanno tracimato. Anche il Giappone ha goduto di una grande rendita strategica da guerra fredda, era un alleato speciale per gli Stati Uniti e, per cercare di cambiare la politica, ha riformato il sistema elettorale con una specie di Mattarellum locale, un sistema misto metà proporzionale e metà uninominale. Il problema, dunque, è politico. per questo abbiamo posto qualche domanda a Sergio Romano, politologo, editorialista del Corriere della Sera.
Ambasciatore, quanto è grave la crisi
giapponese?
Il Giappone rappresenta una grande incognita. Noi tutti abbiamo pensato che prima o poi il Giappone avrebbe riconquistato un ruolo politico in Asia ma non sembra averne voglia. Ha un'economia che rappresenta la somma del prodotto interno lordo di Italia, Francia e Germania, ma questa economia è stagnante. Ha un sistema politico che può essere per certi aspetti confrontato con quello italiano, corruzione, grande instabilità politica, ma non ha avuto il beneficio di quello scossone che, bene o male, il nostro sistema politico ha ricevuto dopo Tangentopoli. In Giappone continua ad esserci, come ai tempi della vecche Democrazia cristiana da noi, un sistema paralizzato da una sorta di stabile instabilità. E' sempre lo stesso partito al potere, ma questo partito non riesce ad esprimere leader capaci di controllare la situazione politica per più di un anno, un anno e mezzo. Dal punto di vista economico, è una straordinaria potenza, ma tutto è iper-regolamentato, forse ha perduto il treno delle ultimissime innovazioni tecnologiche. Insomma il Giappone è un incognita, e noi non riusciamo a capire che cosa sia e da che parte vada.
Però anche il sistema politico giapponese ha subito qualche scossa ed è stato sfidato lo stesso predominio del Pld. Non c'è stata una sufficiente spinta riformatrice?
No, sono mancate le riforme politico-istituzionali e il Pld, per quanto scosso dagli scandali, continua ad esprimere i primi ministri. In altre parole, lo scossone non ha nemmeno rimesso in discussione le vecchie forze politiche.
Come mai?
Mentre da noi la Dc è stata interamente spazzata via, in Giappone il Pld continua ad esistere. Probabilmente la presa di quella forza politica sull'alta amministrazione era maggiore perché non vi è stato un moto di carattere giudiziario corrispondente al nostro di mani pulite. Ed ecco che continuamo ad assistere a fenomeni di collusione fra politica e corruzione. Non dimentichiamoci che fra Giappone ed Italia vi è questo dato comune rappresentato dalla criminalità organizzata: anche il Giappone ha delle vere e proprie mafie anche manca la piccola criminalità diffusa della società italiana.
Insomma il blocco di potere raccolto intorno al Pld rimane solido nonostante tutto. E questo impedisce la transizione verso un modello sociale più aperto?
Blocca la transizione economica e finanziaria perché anche i problemi delle banche sono difficili da risolvere. Anche se ora sembra che ci sia un piano per affrotnare il problema; un piano che è altamente etorodosso, fondato sull'aumento della base monetaria e quindi sul rilancio dell'inflazione e dei consumi. Il Giappone è un paese assolutamente paradossale: un terzo del reddito nazionale, il trenta per cento, viene risparmiato e non viene speso. Siamo alla più assoluta stagnazione: molte banche sono sull'orlo del fallimento, il debito è in assoluto il maggiore del mondo (ora è al 130 per cento). Questo dà la misura della grandezza della crisi giapponese. Di fronte a questa crisi, la classe politica giapponese appare paralizzata.
Da che cosa?
Probabilmente paralizzata dai veti incrociati dei grandi interessi corporativi i quali non vogliono rimettere in discussione i loro privilegi. La crisi richiede delle misure drastiche, chirurgiche. E queste misure prima o poi a qualcuno nuocciono.
Dunque questi interessi bloccano la modernizzazione del Giappone...
Certo. La grande amministrazione non vuole perdere i suoi poteri regolamentari, le banche hanno interessi da difendere e portafogli pieni di insolvenze, le grandi industrie hanno le loro nicchie di protezione. Non dimentichiamo che la crisi giapponese inizia con il grande terremoto di Kobe. Il terremoto mise in crisi le compagnie assicurative, che si trovarono con un conto altissimo da pagare, e le banche. Da lì comincia il grande problema a cui si aggiunse, in quegli anni, l'enorme bolla finanziaria di una speculazione che sembrava destinata ad essere vincente. Quando quella bolla si sgonfiò molti morti e feriti rimasero sul terreno. Poi si affacciò anche un altro problema: il Giappone ha sì saputo sfruttare le tecnologie degli anni Sessanta e Settanta, ma poi non è stato altrettanto bravo con le tecnologie di ultimissima generazione, mentre gli americani hanno saputo cavalcare le innovazione tecnologiche per tutti gli anni Novanta. Ma non dimentichiamo che siamo tutti legati uno agli altri: gli Stati Uniti hanno un debito pubblico pagato in emissioni obligazionarie che sono in larga parte nelle mani dei giapponesi: banche e risparmiatori. Il giorno in cui banche e risparmiatori giapponesi, sotto l'impatto della crisi, volessero rientrare in possesso delle loro risorse, sarebbero guai anche per gli Usa.
20
marzo 2001
appioclaudio@yahoo.com
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