La Francia contro se stessa
di Giuseppe Sacco
Anche se il consenso popolare alla destra è risultato assai più vigoroso di quanto non ci si attendesse, ed anche se, in termini di voti, le prospettive per le presidenziali del prossimo anno appaiono abbastanza buone, sarebbe difficile negare che i risultati di Parigi sono, a tutti gli effetti, un disastro per i destini della Francia. L'elezione, a causa dei dissensi interni allo schieramento conservatore, di un sindaco socialista nella capitale non segna una svolta solo perché si tratta del primo omosessuale dichiarato ad assumere un così prestigioso ruolo pubblico, o perché i social-comunisti non erano al potere all'Hotel de Ville sin dall'epoca della Comune. Ci sono altre conseguenze di maggiore momento e di più lungo periodo.
Questa elezione, dato il ruolo di leadership politica e intellettuale che Parigi esercita sull'insieme della società francese, renderà infatti più pesante ed estraneo alla realtà del mondo moderno lo snobismo provinciale della leziosa élite parigina. E renderà ancora più gravi di quanto non siano già oggi il ripiegamento dei francesi su sé stessi, nell'economia e nei modi di vita, e la chiusura alle influenze estere che è la caratteristica di questo importante paese europeo da quando esso è governato dalla coalizione di sinistra. Nella società internazionale del ventunesimo secolo, insomma, i francesi potrebbero essere destinati a diventare sempre di più una sorta di "marziani".
In complesso, la seconda metà degli anni Novanta, con l'esplosione della globalizzazione, ha assestato un colpo durissimo al cosiddetto "rango" della Francia nel sistema internazionale. E al "rango" - è noto - i francesi tengono come a poche altre cose. Sotto il profilo culturale, poi, l'accelerata americanizzazione socio-economica di tutte le società, dell'Est come dell'Ovest, del Terzo mondo come dei paesi di antica industrializzazione, e in particolare la dirompente affermazione dell'inglese nel ruolo di "lingua franca" mondiale, hanno vanificato anni e anni di sforzi propagandistici e diplomatici volti ad affermare la "exception francaise", nonché gli enormi investimenti dedicati alla difesa della francofonia. E non si tratta di un aspetto secondario né folkloristico. Infatti, a differenza di quanto accade in Italia, dove l'americanizzazione viene fortemente temperata da elementi locali, ed il nascente bilinguismo viene vissuto dagli strati intellettualmente medio-bassi come un fatto di arricchimento e di sprovincializzazione, in Francia tutto ciò viene visto come una perdita di identità, e come una diminuzione anche politica difficilmente accettabile.
Questi fenomeni sono tra le cause, e non tra quelle secondarie, dei crescenti sentimenti antiamericani in tutti i settori della vita intellettuale e politica d'oltralpe. Da quelli rappresentati dal leader del "popolo di Seattle" José Bove, quando questi organizza gli assalti ai McDonald, a quelli che il presidente Jacques Chirac vuole blandire quando critica in maniera pesantissima il bombardamento Usa sull'Irak. Questa è la Francia, si dirà. Ma i socialisti, è facile previsione, non faranno che infognare ancora più gravemente il paese in questo pantano di risentimenti e di meschinità nazionalistiche. Pantano in cui non può radicarsi niente di buono, né per la Francia stessa, né per i suoi partners nell'avventura europea. La drammatica convergenza di frustrazioni nazionaliste e di incapacità di condividere grandi progetti che abbiamo già visto all'opera nel vertice di Nizza e nel disastroso semestre della presidenza francese, risulterà vieppiù accentuata se, dal Municipio di Parigi, ai socialisti riuscisse il grande salto per la conquista dell'Eliseo.
Certo, una metà dell'elettorato appare consapevole di questo rischio, e non ha mancato di esprimere il proprio dissenso dallo squallido "pensiero unico" - una mescolanza di moralismo ipocrita, di rabbiosa malafede, di frustrazioni nazionalistiche e di residui sessantottardi - che domina oggi nella stampa d'oltralpe, schierata pressoché unanimemente su posizioni radical-chic. Ma la destra francese sembra avere la stessa debolezza che Giuliano Amato ha messo in luce per la sinistra italiana. Gli fa difetto un "azionista di riferimento", un uomo in grado di coagulare e di equilibrarne le diverse componenti, un leader capace di traghettarla tutta insieme verso la vittoria.
20
marzo 2001
g.sacco@usa.net
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