I mercati rinfrancati dalla “guerra
politica”
intervista a Carlo Pelanda di Claudio Landi
Il primo conflitto del ventunesimo secolo, per dirla con le parole
del presidente George W. Bush, sta per cominciare. Forse è
soltanto questione di ore, forse di giorni, ma il dispiegamento
delle forze militari Usa nel Golfo e nell’Asia centrale non lascia
molti dubbi al riguardo. Eppure la risposta americana all’attacco
terroristico dell’11 settembre non è solo di tipo militare. A ben
vedere il vero cuore di questa risposta è altrove. E’ la
costruzione, paziente e complessa, della coalizione globale contro
il terrorismo. Una coalizione “a geometria variabile”, che sta già
mutando profondamente l’assetto globale del nostro mondo. Si sta
delineando una strategia precisa, come ci aveva preannunciato
Carlo Pelanda, una strategia piuttosto “sofisticata” in base alla
quale ogni paese verrà chiamato dagli Stati Uniti, in base alla
propria capacità e alla propria storia, a dare un contributo nella
lotta al terrorismo.
A distanza di una settimana abbiamo nuovamente rintracciato il
professor Pelanda, per fare ancora il punto della situazione.
Magari partendo dai mercati che sembrano apprezzare l’impostazione
“politica” che Bush ha voluto dare alla reazione americana,
rasserenandosi dopo i giorni difficili seguiti al doppio attentato
negli Usa.
Professore, i mercati sembrano più
tranquilli…
Il mercato ha capito che, nell’ambito dell’articolata reazione
americana, il peso dell’iniziativa militare è molto minore di
quanto si era pensato all’inizio. Non è la terza guerra mondiale.
Non si vogliono fare guerre aperte contro nessuno. L’operazione
non è infinita. Si tratta di una strategia fatta di più fasi in
sequenza e di molte azioni in parallelo. Ciascuna di queste azioni
avrà un obiettivo chiaro e limitato. Dunque la strategia è:
minimizzazione della violenza e massimizzazione dell’efficacia,
con lo scopo di cooptare il massimo di paesi nelle iniziative che
saranno prese. Nel medio periodo si tenterà di perfezionare un
nuovo ordine mondiale.
Guerra e mercati non vanno a braccetto…
No, non proprio. Il mercato ha capito che, sul piano militare, la
reazione americana si può configurare più come una normale
operazione di polizia internazionale. E dunque non sconta più il
rischio di guerra: ad esempio, non vi sarà un rialzo del prezzo
del petrolio. Il mercato azionario, che precorre i climi
dell’economia reale, sta riadattandosi su una previsione molto più
tranquillizzante di quella iniziale: una piccola recessione di un
punto, un punto e mezzo del Pil negli Stati Uniti in questo
trimestre e forse anche in quello successivo; poi, all’inizio del
2002, una decisa ripresa. Non ci sarà, quindi, nessuna guerra
aperta.
E dunque che tipo di conflitto sarà?
Si va verso quella che chiamerei una bonifica dal terrorismo.
Magari si rovesceranno, con molta attenzione, un paio i regimi
estremisti in campo islamico e si stabilirà il confine fra
islamici buoni e islamici cattivi. Washington sta agendo in
maniera molto intelligente: non pretende truppe dai paesi islamici
ma chiede informazioni, intelligence e chiarezza nei rapporti con
le reti estremistiche: Bush chiede ai singoli paesi solo quello
che sono effettivamente in grado di dare. Un altro fattore
importante è il buon funzionamento dell’alleanza occidentale. Ad
esempio, l’Unione Europea ha promesso un sostegno economico molto
forte al Pakistan. Tutto questo dà la precisa sensazione che sia
stata messa in campo una consistente potenza gestita con forte
prudenza. Come detto prima il mercato ha reagito di conseguenza.
Pacatamente. Non c’è stato un eccesso di ottimismo perché comunque
siamo in presenza di una piccola recessione. Però l’effetto panico
può dirsi completamente esaurito.
28 settembre
2001
appioclaudio@yahoo.com
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