“Combattere le radici politiche del
terrorismo”
colloquio con Sergio Romano di Claudio Landi
E’ ormai chiaro che il primo conflitto del ventunesimo secolo non
sarà una guerra di tipo tradizionale, così come l’abbiamo
conosciuta sinora. E allora che tipo di guerra sarà? La strategia
americana di cooptare in una grande coalizione il maggior numero
di paesi possibile, chiedendo loro un minimo di regole e di
collaborazione, punta a una formula che potremmo definire di
alleanze a geometria variabile, con lo scopo però di mantenere la
guida strategica delle operazioni. Per addentrarci nei nuovi
equilibri geopolitici mondiali che si stanno creando, abbiamo
trascorso un po’ di tempo al telefono con l’ambasciatore Sergio
Romano, politologo ed editorialista del Corriere della Sera.
L’impressione è che, paradossalmente, una conseguenza degli
attentati negli Stati Uniti è stata proprio l’organizzazione di
una Comunità internazionale più coesa e più decisa.
“Gli attentati dell’11 settembre - sostiene Romano - hanno
indubbiamente segnato un successo per la strategia terroristica di
bin Laden. Ma hanno anche determinato un riflesso politico che
egli stesso non aveva previsto: la creazione di un grande fronte
di solidarietà con gli Stati Uniti. In altre parole, l’America è
molto più leader mondiale oggi di quanto lo fosse il 10 settembre.
Questo fronte è ovviamente eterogeneo, composto da paesi che hanno
interessi diversi: in alcuni casi hanno aderito solo perché il
loro silenzio sarebbe stato interpretato come sintomo di
complicità con il terrorismo. Il dato di fatto, però, è che questo
fronte ora esiste e rappresenta un capitale politico che gli Stati
Uniti hanno interesse a preservare ed utilizzare”. Ci riusciranno?
“Questo dipende dal modo in cui l’America intenderà reagire.
Ovvero dal carattere della rappresaglia. Se la rappresaglia sarà
condotta in modo da tener conto di certi interessi anche morali,
culturali, politici del mondo islamico, probabilmente il fronte
vivrà. Se invece l’America prenderà delle decisioni un po’
spericolate ed avventate allora la cosa diventerà molto più
difficile”.
Dunque, occhi puntati a quanto accadrà nelle prossime ore? “Senza
dubbio - prosegue l’ambasciatore Romano - ma molto dipenderà anche
dal modo in cui gli Stati Uniti affronteranno alcune grandi crisi,
che poi sono alle radici politiche del terrorismo. Il terrorismo è
una brutta bestia e Osama bin Laden è un ideologo fanatico. Ma
come tutti i terrorismi che abbiamo conosciuto negli ultimi
cinquant’anni, anche questo è un fenomeno politico, o con radici
politiche. E’ facile riesumare una lunga serie di crisi politiche
che hanno travagliato il mondo islamico e dalla mancata soluzione
delle quali gli ideologi del terrorismo continuano a pescare
reclute e militanti: la crisi algerina, quella irakena, quella
afghana e specialmente quella palestinese. Bisogna rimarcare che
molte di queste crisi non dipendono dall’atteggiamento di noi
occidentali. Ma in altre, come quella palestinese, l’Occidente e
in particolare gli Stati Uniti sono più direttamente coinvolti.
Nella crisi palestinese, gli americani, con una certa dose di
ragione, vengono percepiti come amici più degli israeliani che dei
palestinesi. E allora ho l’impressione che se l’America vuole
conservare intatto il capitale politico accumulato con sapienza in
questi giorni e condurre una efficace lotta al terrorismo, dovrà
affrontare politicamente queste crisi”.
28 settembre
2001
appioclaudio@yahoo.com
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