Il paese del "giornale unico"

Riproponiamo questo articolo sulla libertà di stampa in Afghanistan già pubblicato dalla nostra rivista lo scorso 13 marzo con il titolo "Urla dal silenzio". E' un utile approfondimento per completare l'informazione sullo stato dei diritti e delle libertà nel paese dei Talebani.

Parlare di libertà di stampa in Afghanistan fa quasi sorridere: suona come una contraddizione in termini. La storia della repressione in Afghanistan purtroppo non inizia nella notte del 26 settembre del 1996 con l'ingresso delle milizie talebane a Kabul, ma qualche decennio prima. Quando nel 1978 il Partito democratico (comunista) prese il potere nel paese e introdusse un sistema d'informazione basato sul modello sovietico: circa cento pubblicazioni, tutte dipendenti dalle istituzioni statali, venivano scrupolosamente esaminate dal settimo comitato del ministero per la Sicurezza, incaricato della censura. Quando, nel 1992, arrivarono al potere i Mujaheddin, la situazione peggiorò ulteriormente: il 90 per cento delle pubblicazioni del paese scomparve perché proibita o privata di fatto delle risorse materiali necessarie a sopravvivere. Il governo dei talebani ha soltanto portato a compimento questo processo più che ventennale. 

Una delle prime mosse degli "studenti di teologia", dopo la conquista della capitale, fu quella di sigillare gli edifici della televisione nazionale (oggi adibiti a caserme) e di bandire ogni tipo di trasmissione televisiva. Il rapporto di Reporter senza frontiere ci dice che oggi in Afghanistan esiste un'unica emittente radiofonica, Radio Sharia (un nome una garanzia), che trasmette incessantemente sermoni, dibattiti religiosi e propaganda governativa, senza alcun commento giornalistico e senza musica. Nelle province del paese appaiono irregolarmente alcune pubblicazioni contenenti notizie provenienti dai ministeri o dall'agenzia di stampa ufficiale. I giornalisti devono eseguire gli ordini dei rappresentanti dei talebani assegnati alle redazioni e sono pagati (dallo stato) poco e irregolarmente. 

Le immagini sono bandite dall'Emirato Islamico dell'Afghanistan. Fotografare l'emiro Mollah Mohammed Omar è punito con la pena di morte e macchine fotografiche e telecamere sono considerate "scatole del diavolo". Molti giornalisti e reporter sono stati arrestati, sequestrati e minacciati anche per aver ripreso eventi innocui come una partita di calcio. La maggior parte dei giornalisti afgani che non sono stati assassinati, è stata costretta a fuggire verso le zone del paese controllate ancora dall'opposizione o in Pakistan, Iran o Tagikistan, fondando nuovi media o lavorando per le stazioni radio internazionali. Ma questo non vuol dire che sono al sicuro: anche lì hanno ricevuto minacce di morte, aggressioni e attentati, complice spesso anche la connivenza delle forze di polizia pakistane, paese che sta vivendo un preoccupante processo di talebanizzazione. 

Il 27 febbraio del 1997 il ministro dell'Informazione e della cultura ha proibito la vendita di libri e riviste editi all'estero, ponendo così fine anche alla circolazione dei giornali pubblicati in Pakistan e in Iran che si era diffusa durante il governo dei Mujaheddin. Naturalmente alcuni giornali, soprattutto il pakistano Wahdat, vengono ancora distribuiti clandestinamente, ma il rischio che corre chi ne viene trovato in possesso è molto alto. I corrispondenti stranieri, come è facile immaginare, non hanno vita facile. Dal 1996 si contano venticinque arresti di giornalisti stranieri (spesso accusati di essere spie al soldo di Teheran) e le milizie talebane si sono spesso rese colpevoli di aggressioni e minacce verso di loro. Fra i tanti divieti a cui la stampa estera è sottoposta c'è quello di recarsi in case private, di intervistare le donne, di fotografare o filmare persone e di fermarsi con cittadini qualunque. Ai giornalisti è consentito lavorare solo con interpreti ed assistenti approvati dal governo, che intimidiscono gli intervistati e spesso stravolgono le risposte. Il visto d'ingresso nel paese viene concesso con relativa facilità agli occidentali che non parlano la lingua locale, ma molto raramente ai pakistani in grado di cavarsela senza interpreti ufficiali. Questo è oggi l'Afghanistan, un paese praticamente senza organi di stampa, senza informazioni e, cosa davvero disumana, senza immagini. Un paese costruito ad arte per rendere cieco chi non lo è. (b. men)

8 ottobre 2001

bamennitti@hotmail.com


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