I rischi dell'intervento in Afghanistan
di Rodolfo Bastianelli
Un'operazione lunga e complessa, così il Presidente americano Bush si è espresso riguardo all'operazione "Libertà Duratura" e alla lotta al terrorismo. Ma aldilà della sua durata, l'azione che gli Stati Uniti
hanno intrapreso nei confronti dei talebani presenta delle incognite e dei rischi sia sul piano militare che politico, soprattutto in relazione agli equilibri che potrebbero formarsi nella regione successivamente alla caduta del regime di Kabul. Il primo fattore da prendere in considerazione è l'ambiente afgano. Devastato prima dalla lotta contro l'Armata Rossa e successivamente dalla guerra civile, l'Afghanistan è oggi un paese tra i più arretrati al mondo, privo di qualsiasi struttura statale e amministrativa. Sul territorio infatti mancano infrastrutture e impianti industriali, gli obiettivi da colpire sono pochi e quelli individuati non sembrano rivestire un grande valore strategico. Il regime di Kabul, inoltre, pur essendo nominalmente organizzato attraverso ministeri ed uffici governativi, in realtà si fonda più sulle alleanze e il sistemi di potere locali che non su e vero e proprio apparato statale, mentre lo stesso armamento di cui dispongono le milizie dei talebani, composto soprattutto da vecchi aerei e carri armati sovietici e da mortai, non è certo quello di un esercito regolare e solo recentemente grazie al sostegno finanziario di bin Laden è stato possibile acquistare nuove armi. E' chiaro quindi che lo scenario è molto diverso da quello della guerra contro l'Irak nel 1991 o del conflitto nel Kosovo di due anni fa. Essenziali in un'operazione di questo tipo sono, quindi, più che i bombardamenti massicci, il ruolo dell'intelligence e l'uso di reparti speciali per identificare sul terreno gli obiettivi militari e le basi di bin Laden in modo da colpirle con attacchi mirati.
Ma se la preparazione dell'azione militare ha presentato non pochi ostacoli ancora più complicati si presentano gli scenari per il futuro politico dell'Afghanistan e della regione. Saliti al potere nel 1996 i talebani, pur controllando circa il 90 per cento del territorio afgano, devono fronteggiare l'azione dei gruppi della resistenza, attivi soprattutto nel nord del paese e che rappresentano il governo del presidente Rabbani, tuttora riconosciuto come quello legittimo dell'Afghanistan. Divisa in frazioni e gruppi legati a diversi comandanti locali, l'opposizione, grazie soprattutto all' opera del recentemente scomparso Ahmed Shah Massud, si è raggruppata all'interno di una coalizione chiamata "Alleanza del Nord", un'alleanza composta da numerosi vecchi comandanti della guerriglia antisovietica che fino a poco tempo fa non sembrava però in grado di poter rovesciare il regime di Kabul. Con la prospettiva di un attacco alleato e con la crisi ormai evidente dei talebani, l'opposizione ha invece ritrovato forza, passando all'offensiva e riconquistando il controllo di alcune province settentrionali del paese. Le incognite sulla tenuta e sulla rappresentatività della coalizione però non mancano. Composta quasi esclusivamente da tagiki ed uzbeki, l'Alleanza è infatti espressione delle popolazioni del nord ma non dei pashtun, l'etnia maggioritaria in Afghanistan, da cui provengono anche gli esponenti del regime talebano. Ecco perché in questo scenario gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno deciso di puntare sulla figura di Zahir Shah, l'ultimo sovrano dell'Afghanistan, dal 1973 in esilio a Roma, che proprio per la sua appartenenza all'etnia pashtun appare in grado, anche per il suo prestigio, di riunire tutte forze di opposizione e formare un governo provvisorio che una volta assunto il potere deciderà quale assetto istituzionale dare al paese. Il rischio però, come ricordato prima, è che l'alleanza non regga e che finisca come nel 1992, quando i capi della guerriglia, una volta rovesciato il regime filo - sovietico di Najibullah, cominciarono a darsi battaglia tra loro trascinando l'Afghanistan nella guerra civile.
Se al crollo del regime di Kabul non dovesse seguire la formazione di un governo stabile per l'intera regione potrebbe quindi aprirsi un periodo di grave instabilità. Riconosciuto solo da Pakistan Arabia Saudita ed Emirati Arabi, l'attuale governo afgano aveva ricevuto il sostegno di Riyadh perché sannita e in quanto tale poteva controbilanciare il peso e l'influenza dell'Iran sciita sulla regione, mentre per Islamabad la scelta era stata dettata più da ragioni pratiche che non religiose, volendo il Pakistan incrementare il ruolo nell'area ed avere una base d'appoggio nella sua azione contro l'India, dato che proprio dai campi d'addestramento in Afghanistan proverrebbero i guerriglieri che combattono nel Kashmir. Sia per l'Arabia Saudita che per il Pakistan l'affare afgano si sta però rivelando un investimento ad alto rischio, come dimostra la presenza in entrambi i paesi di gruppi fondamentalisti che costituiscono una minaccia per i rispettivi regimi. Preoccupata di una possibile espansione del fondamentalismo islamico nel Tagikistan e dei collegamenti esistenti tra regime afgano e guerriglieri ceceni, la Russia da sempre sostiene invece l'opposizione afgana, allo stesso modo dell'Uzbekistan che considera Kabul una base per l'attività dei gruppi terroristici islamici uzbeki. Contrario ai Talebani è anche l'Iran, che appoggia l'"Alleanza del Nord" sia per la comune appartenenza alla religione sciita con i tagiki che per le accuse rivolte al regime afgano di favorire il traffico di droga all'interno del territorio iraniano.
Come ha ricordato in un suo editoriale il "New York Times", un eventuale vuoto di potere a Kabul trasformerebbe l'Afghanistan in un terreno di scontro tra i diversi paesi della regione in grado di minacciare la stabilità di tutta l'area. Non a caso il segretario di stato americano Powell ha cercato di unire nella coalizione contro il terrorismo sia le repubbliche ex-sovietiche dell'Asia centrale che lo stesso Iran, sperando che le recenti aperture di Khatami possano portare ad un riavvicinamento tra Washington e Teheran. Il crollo dei talebani sembra ormai imminente. Molto più lontano e difficile appare invece l'obiettivo di assicurare all'Afghanistan un governo stabile in grado di evitare che il paese ricada nuovamente nell'anarchia.
8
ottobre
2001
rodolfobastianelli@tiscalinet.it
|