Huntington letto per davvero
di Stefano Magni


Anche se in Europa Huntington e i suoi studi vengono sempre considerati un punto di riferimento negativo, o al massimo l'oscura profezia di un paranoico, cerchiamo di capire l'attuale situazione internazionale, dopo gli eventi dell'11 settembre, alla luce dell'ormai citatissimo - ma come spesso accade poco letto - "Lo scontro delle civiltà" (in Italia pubblicato da Garzanti e ora disponibile in edizione economica a 25mila lire).

Tale scontro, secondo Huntington, deriva dal differente rapporto fra religione e istituzioni politiche in Occidente e nel mondo islamico: l'Occidente è caratterizzato dalla separazione fra stato e chiesa ed è questo il motivo fondamentale dello sviluppo della libertà individuale in Occidente; nel mondo islamico, la religione e la politica si fondono in una visione universalista: la legge islamica deve dominare ovunque nel mondo, anche con la forza. Il fenomeno politico dell'espansionismo islamico è diventato evidente dopo la rivoluzione di Khomeini del 1979 e si è affermato come corrente trasversale in tutto il mondo musulmano man mano che altri modelli (quello comunista sovietico, soprattutto) cessavano di costituire un punto di riferimento per gli stati arabi. E' l'espansionismo dell'Islam, secondo Huntington, la matrice principale di tutti i conflitti post-Guerra Fredda. La nuova linea di tensione ("faglia" nei termini del professore di Harvard) è il lungo confine del mondo islamico. Negli anni Novanta, due guerre nei Balcani (Bosnia e Kossovo, oltre alla tensione in Macedonia), il riaccendersi della guerriglia ai confini di Israele, la guerra in Cecenia e in Tadjikistan, la tensione nucleare fra Pakistan e India, la guerriglia nello Xinjang, la repressione a Timor Est, la guerriglia nelle Filippine, il continuo massacro dei cristiani nel Sudan, tanto per citare i casi più noti all'opinione pubblica, dimostrano drammaticamente che Huntington non aveva torto: tutti i confini dell'Islam sono insanguinati.

Non serve rimproverare a Huntington di essere troppo grossolano nelle sue analisi e di non considerare le differenze, anche notevoli, che esistono fra paesi islamici e che in questi giorni si stanno evidenziando. La grande onda islamica, quella che Huntington analizza, è un fenomeno di lungo periodo, rintracciabile anche in queste settimane se si effettua un'analisi comparativa del comportamento dei paesi arabi oggi e dieci anni fa. Allora, in occasione della Guerra del Golfo, Bush senior mise in piedi una coalizione di stati islamici, estesa a quasi tutti i paesi della Lega Araba, senza incontrare opposizione e in brevissimo tempo. Ora, a tre settimane dall'11 settembre, il massimo a cui può aspirare suo figlio è la benevola neutralità di quegli stessi paesi, nonostante la fortissima ostilità anti-americana delle loro popolazioni. Né serve, per demolire l'analisi di lungo periodo di Huntington, puntualizzare che questi attentati sono strumentali a una lotta di potere interna all'Arabia Saudita: l'ostilità nei confronti dell'Occidente di chi ha scatenato questa lotta di potere è fin troppo evidente, soprattutto dopo l'11 settembre.

Il rimprovero a Huntington di essere un imperialista è dovuto solo a una cattiva lettura dei suoi testi. Ciò che il professore di Harvard suggerisce è una strenua difesa dei confini dell'Occidente (gli avamposti dei quali, nel caso del confine con l'Islam, sono l'Europa mediterranea, la Turchia e Israele), non una loro espansione. Difesa che permetterebbe una migliore convivenza fra civiltà, ma che può diventare possibile solo se prendiamo atto che la differenza fra civiltà esiste. Già il tentativo di mettere in piedi una generica coalizione "anti-terroristica", che comprenda anche paesi islamici per installare basi militari sui loro territori, può essere controproducente, da questo punto di vista. L'unica cosa che effettivamente si può rimproverare a Huntington, semmai, è il suo pessimismo estremo nei confronti di una possibile "occidentalizzazione" del mondo islamico. Uno stato laico, di tipo occidentale, tuttora regge in Turchia e spinte occidentalizzanti resistono in tutti i paesi islamici. Si spera che il professore di Harvard si sbagli a considerare definitivamente sconfitta questa tendenza.

8 ottobre 2001

stefano.magni@fastwebnet.it


stampa l'articolo