La Nato alla ricerca di un nuovo ruolo
di Paolo Mossetti
Le critiche che vengono rivolte alla Nato da più parti, almeno da due-tre anni a questa parte, hanno segnalato un salto di qualità nell'antiamericanesimo italiano. Il coro di contestazione all'Alleanza atlantica dev'essere subito diviso in due categorie: i cattocomunisti da un lato (quello forse più numeroso) e la sinistra progressista e il pacifismo ad oltranza dall'altro. Questo coro che, da quando il top gun americano tranciò la funivia del Cermis nel 1998, ha ritrovato voce e slogan altisonanti, non può essere liquidato con arroganza come se si ritrovasse tutto sotto una sola insegna. Insieme alle proteste strumentali, ideologizzate ed effimere, esso affronta anche problemi concreti: primo fra tutti, quale sarà il futuro della Nato?
Molti ritengono, a torto o a ragione, che l'Alleanza abbia perso la sua funzione originaria con la fine dell'Urss. Ma è proprio così? Di certo nel 1949, quando i capi di stato dei più importanti paesi dell'Occidente, tra cui l'Italia di De Gasperi, si riunirono per fondarla, il principale obbiettivo era contenere l'impero sovietico, certamente non sazio di conquiste dopo gli accordi di Yalta. Del resto, l'istituzione del Patto di Varsavia nel 1955, e poi la repressione in Ungheria nell'anno successivo, dimostrarono quanto fosse incombente, su tutta l'Europa, l'ombra dei carri armati di Mosca. E di qui la necessità di salvaguardare, anche con una grande organizzazione logistica e militare, i propri confini e i paesi più deboli del Continente, come il nostro. Ma la Nato nacque, anche se studiamo la sua storia del punto di vista burocratico, più generalemente come uno strumento di difesa globale. E il globo era considerato l'Occidente. Un eventuale conflitto mondiale, si pensava, sarebbe scoppiato in questa fetta del mondo. La più ricca ma anche la più armata. L'articolo 5, citato mille volte in questi giorni, parla di intervento comune nel caso uno dei membri dell'Alleanza sia attaccato, e non di intervento comune in caso di guerra con l'Urss. Ma è chiaro, l'unico nemico era considerato l'Urss.
E oggi? Davvero sarebbe un bene smantellare la Nato, come sostengono, tra gli altri, gli esponenti di Rifondazione comunista? Ovviamente no, ma non ci si deve limitare all'opposizione contro questa tesi demagogica. Innanzitutto va detto che l'Onu non è stata, negli ultimi dieci anni, il codazzo umanitario della Nato. Anzi. L'Onu, con i suoi tardivi interventi, ha quasi sempre anticipato l'azione della Nato. Dimostrando così di essere non l'ombra degli Usa, ma l'ombra di se stessa. Può sembrare una provocazione e invece è la realtà, almeno a guardare gli interventi più recenti dei caschi blu: a cominciare dal '91 in Somalia, quando quattro anni di stretta sorveglianza armata non servirono a far cessare una sanguinosa guerra civile; poi l'episodio più emblematico: nel 1995 in Bosnia, quando senza la Nato le milizie umanitarie avrebbero rischiato di finire massacrate; poi di nuovo il non-interventismo in Kossovo, o i ritardi in altre parti del mondo già sommerse di morte e distruzione: Sierra Leone, Timor Est, Angola, Eritrea. O le "dimenticanze" per alcuni conflitti non di poco conto: a cominciare dall'Afghanistan, e finire in Nepal, nelle Molucche e in mezza Africa. Chiamare in causa l'Onu per risolvere le controversie internazionali, come fanno alcuni pacifisti a senso unico, vuol dire non voler fare nulla. Cosa ancora più insensata oggi, visto che non c'è nessuna controversia, ma un miliardario terrorista da rendere inoffensivo e un governo di sciacalli fanatici da abbattere, con le buone o con le cattive. Annullare l'azione della Nato significherebbe dare il via libera a un ulteriore imbarbarimento del Terzo Mondo; nonchè spianare la strada per i dittatorelli resi orfani dalla fine della Guerra Fredda, in cerca del "protettore" di turno per ignorare regole, diritti umani e civili.
Ma la Nato dovrà cambiare, e non in senso restrittivo. Essa dovrà coinvolgere, a livello diplomatico ma anche militare, quei paesi che oggi si sono schierati senza remore con gli Usa e con l'Occidente. E così dovrà sostenere di più, con ogni mezzo, le fazioni moderate dell'islamismo in quegli stati dove il fondamentalismo ha già messo radici. Basti pensare al Pakistan: oggi ci ritroviamo nell'orrenda situazione di dover scegliere tra il sostengo ad un generale golpista e nazionalista e lo scontro politico con una nazione di 140 milioni di anime musulmane. Bisogna ampliare e non ridurre il potere della Nato. Ma non per una volontà di egemonia dell'Occidente sulle altre civiltà, bensì per coinvolgere anche gli altri stati che lottano con il terrorismo, e difenderli con i mezzi adeguati, che dovranno essere sempre più sofisticati. E meno rozzi, poiché colpire, volontariamente o no, civili innocenti, rappresenterebbe oggi per gran parte dell'Islam un affronto a quella religione, pacifica ma con una inquietante propensione al "fare massa" di marxiana memoria, anche se dove c'è Marx l'Islam non ha mai attecchito. E l'Europa? Come al solito, sembra rimasta indietro. E non si vedono buone prospettive per una difesa comune. Anche questa necessaria, se nella nuova Alleanza vogliamo contare qualcosa, e non rimanere semplicemente schiacciati dagli eventi internazionali.
8
ottobre
2001
gmosse@tin.it
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