Mercati in altalena e le cartucce di Greenspan
di Federico Vasoli
"Recessione". La parola che nessuno osava pronunciare, ma che aleggiava da tempo sull'economia statunitense, è uscita, come una frustata, dalla bocca di R. Glenn Hubbard, leader del Council of Economic Advisers del presidente Bush. L'economia statunitense, dopo molti anni di impressionante crescita, stava rallentando. Gli attacchi terroristici, ovviamente, non hanno fatto altro che indebolirla ulteriormente. A questo punto, la Federal Reserve si è assunta di nuovo il ruolo di salvatrice della patria, tagliando, per l'ennesima volta, i tassi d'interesse e di sconto. Senza queste riduzioni, gli Stati Uniti sarebbero in recessione già da tempo. In fondo, se i mercati Usa sono ancora più appetibili di quelli dell'Unione Europea, è in buona parte merito della politica di Alan Greenspan.
Ridurre il livello dei tassi - mai così bassi dai tempi del presidente Kennedy - è un'ottima manovra nel breve termine, ma lascia qualche dubbio in relazione al lungo termine. Ci si chiede, dunque, quali effetti duraturi potrà sortire questa mossa. Se le immediate conseguenze positive saranno annullate da un paio di bombe (lanciate da chi e contro chi non ha alcuna importanza), la Fed, che si riunirà ufficialmente ancora due volte nel 2001, dovrà escogitare qualcosa: certo, si potrebbe arrivare ad un tasso dello 0 per cento - la possibilità c'è, eccome - ma la sola idea è francamente inquietante. In un solo anno, si è passati dal 6,5 al 2,5 per cento!
Il taglio, come dichiarato dalla Fed, serve per rilanciare le spese di famiglie e imprese. Il ragionamento è semplice: gli obiettivi a lungo termine sono la stabilità dei prezzi e una crescita sostenibile, ma essi possono essere a messi a repentaglio da quanto accade nel breve termine. E, nel breve termine, è fondamentale mantenere liquidità nel sistema (non a caso, la primissima mossa della banca centrale dopo gli attentati è stata di immettere 100 miliardi di dollari nell'economia, ben 15 miliardi in più rispetto alla mega-manovra annunciata dal presidente Bush per salvare un'intera nazione) e la liquidità è garantita dalle spese a breve. La spesa a breve, però, caduta dopo l'esplosione della bolla speculativa degli ultimi anni, è condizionata dall'insopportabile incertezza di questi giorni. Come difendersi dal terrorismo? Quali priorità darsi? Dove investire a colpo sicuro, viste le ingenti spese da sostenere e l'inaffidabilità del mercato azionario? Queste sono solo alcune delle possibili domande che famiglie e imprese americane (ma non solo) si stanno presumibilmente ponendo.
E più sono le domande di questo stampo, più l'incertezza aumenta. Meglio mettere i pochi soldi a disposizione sotto il mattone, piuttosto che investirli in iniziative, magari valide, ma che potrebbero essere fatte fuori, anche indirettamente, dal primo segnale che le cose non vanno come dovrebbero andare. Come avrebbe reagito l'economia statunitense, se il Tupolev esploso sul Mar Nero avesse battuto bandiera americana? O ci sarebbe stato uno scatto di orgoglio - possibile, benché improbabile - o il taglio di martedì sarebbe stato vanificato da un'esplosione di cui poco si sa. Terrorismo? Fatalità? Tragico errore dei soldati ucraini? Poco importa: il panico serpeggia e la recessione pure. E, fintantoché il panico prende il posto dell'ottimismo e dello spirito d'iniziativa, l'eroica Federal Reserve non può fare miracoli.
8
ottobre
2001
federico_vasoli@hotmail.com
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