Da no global a no war. Ma la musica è sempre la stessa
di Paolo Zanetto


Il nuovo sessantotto si è fermato. Dopo l'11 settembre la retorica del "nulla sarà più come prima" ha colpito anche il popolo di Genova, che non ha più avuto i media adoranti ai suoi piedi. Vittorio Agnoletto ha subito dichiarato che il movimento anti global vive "una difficoltà di cui siamo consapevoli". Il leader delle tute bianche, Luca Casarini, ha affermato poco dopo la strage di voler ripensare il messaggio del movimento, salvo poi tornare al vecchio e collaudato argomento subito dopo il primo sentimento di simpatia verso gli Stati Uniti. Per qualche giorno i no global hanno vissuto un sincero imbarazzo: nella galassia del Genoa Social Forum, che comprendeva qualunque cosa, dai papa boys di sinistra ai movimenti universitari maoisti, l'unica componente comune a tutti era l'anti-americanismo. America sfruttatrice, America affamatrice, America che incorpora ed è causa di tutti i mali del mondo.

Ma la pericolosa ondata di amicizia a stelle e strisce si è esaurita presto in certi ambienti di sinistra, a partire dalle colonne di alcuni giornali - il Manifesto anzitutto - in cui si sono lette parole di giorno in giorno più fiere nel puntare il dito contro gli Usa. Quando Bush ha osato affermare che l'America non considera assurdo fare giustizia quando dei terroristi uccidono seimila persone e gettano nel panico l'intero Occidente, gli anti-global del mondo si sono ritrovati uniti in una nuova battaglia: contro "la guerra". Dieci giorni dopo la strage una firma prestigiosa della sinistra come Rossana Rossanda intitolava il suo editoriale "Né con gli Usa, né con i terroristi": una riedizione di uno slogan molto triste ("né con lo stato, né con le Br") che già una volta ha mostrato la propria ipocrisia davanti al sangue di molti, e che avrebbe dovuto insegnare qualcosa. E infatti la sinistra vera, quella che la Rossanda chiamerebbe "parlamentare", non ha avuto alcun dubbio sulla sua posizione: sin dall'inizio Massimo D'Alema e Luciano Violante hanno rivendicato l'eredità politica di Berlinguer, che negli anni di piombo schierò il Pci in difesa dello stato democratico e contro il terrorismo.

Gli anti global in crisi di visibilità si sono dati da fare, dichiarando che il vertice Nato a Pozzuoli sarebbe stato il teatro di una grande dimostrazione "contro la nuova guerra". Quando il Patto Atlantico ha spostato il vertice a Bruxelles, il leader campano Francesco Caruso ha rassicurato il suo popolo: la contestazione a Napoli si farà. Per demonizzare il nemico pubblico numero uno (Berlusconi) e numero due (Bush) Caruso trova espressioni colorite: "C'è una singolare coincidenza tra i miliardari bin Laden e Berlusconi nel fomentare i rispettivi fondamentalisti". Oppure ancora: "Noi siamo con il Papa, che in questi ultimi dieci giorni ha fatto lo scudo umano contro possibili attentati". A Napoli, infine, il proclama: "Da questo momento il movimento anti-globalizzazione diventa il movimento contro la guerra".

Il movimento dunque cambia forma ed obiettivo, eppure non sembra una rivoluzione. Caruso è diventato un nuovo Gattopardo, perché tutti i giornali ci insegnano che dopo l'11 settembre "nulla sarà più come prima". La svolta pacifista sembra già vista, figlia dei cliché di contestazione sessantottina decantati dai baby-boomers che una parte (piccola) dei giovani d'oggi rimpiange e sogna. Durante il dibattito ospitato su Raidue i leader no global hanno sfoderato un armamentario retorico ormai vecchio, ampiamente superato. Mentre Gianni De Michelis, uno che di politica estera ci capisce, provava a spiegare ragionevolmente gli avvenimenti, Caruso urlava che il vero problema è la condizione dei curdi. Conduceva Santoro, quindi tutto è finito in caciara. Eppure i no war (ex no global) avrebbero da dire tante cose: ad esempio non sappiamo con che punteggio è finita la partita di calcio tra palestinesi e curdi che è stata organizzata durante la manifestazione a Napoli. Non abbiamo nemmeno capito quale sia la "terza via" tra terrorismo e guerra. L'unica cosa che abbiamo capito è che, ora che gli slogan non hanno più il vestito nuovo dell'anti-globalizzazione, tutto quello che rimane è la ritrita retorica anni Settanta di una parte del movimento contestatore. Quella sbagliata.

8 ottobre 2001

zanetto@tin.it


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