E'
l'Arabia Saudita il vero obiettivo di bin Laden?
di Rodolfo Bastianelli
Far tremare gli Stati Uniti ed infliggere loro tante sofferenze
come quelle provate in questi anni dal popolo palestinese. E'
stato dalle antenne della televisione satellitare del Qatar "Al -
Jazeera" che domenica sera dopo l'inizio dei bombardamenti
americani sull'Afghanistan Osama bin Laden ha lanciato il suo
appello alla guerra santa e alla liberazione della Palestina. Ma
aldilà della consueta retorica il vero obiettivo del leader di "Al
Qaeda" non sarebbe tanto l'indipendenza dei territori palestinesi
ma il rovesciamento del regime saudita, un disegno che il
responsabile degli attentati del 11 settembre progetterebbe già da
diversi anni. Governata dal secolo scorso una dinastia, quella dei
Saud, di fede wahabbita - uno dei gruppi più intransigenti e
reazionari dell'islamismo sunnita - che non sceglie i successori
al trono di padre in figlio ma li designa tra quelli che risultano
graditi ai membri della famiglia; retta da un sistema di potere di
tipo medievale fondato esclusivamente sulla legge coranica che né
gli introiti petroliferi né i beni di consumo occidentali sono
riusciti a modificare; priva di partiti politici e di assemblee
parlamentari elettive, l'Arabia Saudita è un paese la cui
stabilità risulta essenziale per gli equilibri politici
mediorientali. Conservata per decenni grazie alla politica della
famiglia reale che univa modernità e tradizione, la stabilità del
regime di Riyadh da alcuni anni appare però essere in pericolo.
La crisi economica dovuta al calo dei prezzi petroliferi, che ha
fatto crollare il reddito pro capite dai 18.000 dollari del 1980
ai 6.000 attuali unita alle critiche per il dispendioso stile di
vita dei membri della famiglia reale hanno contribuito ad
incrementare l'opposizione interna, che ha finito per indirizzarsi
verso i gruppi più legati al fondamentalismo islamico, come
dimostra sia il vasto appoggio di cui bin Laden gode nel paese,
che l'alto numero di "volontari" sauditi presenti tra le fila dei
combattenti islamici in diverse parti del mondo. Di fronte a
questa situazione, il regime saudita ha reagito da un lato
rafforzando i suoi legami con il clero wahabbita, che oggi ha
notevolmente esteso la sua influenza su tutti i settori della
società, dall'altro cercando di allentare i legami con gli Stati
Uniti, da sempre storico alleato di Riyadh. All'interno della
stessa famiglia reale esisterebbero, inoltre, dei forti contrasti
sull'indirizzo politico da dare al paese e il cattivo stato di
salute di Re Fahd, da tempo gravemente malato, preoccupa non poco
Washington, visto che il suo probabile successore, il fratello
Abdallah, sarebbe molto vicino alle posizioni degli integralisti.
Ma anche per l'Arabia Saudita il fondamentalismo rappresenta un
problema per la sicurezza del paese e proprio per le sue attività
terroristiche lo stesso bin Laden nel 1994 è stato privato della
cittadinanza saudita.
Eppure, in quest'occasione il governo di Riyadh si è opposto alla
richiesta degli Stati Uniti di utilizzare nelle azioni contro
l'Afghanistan le basi poste in territorio saudita, affermando che
lo scenario è molto diverso rispetto a quello esistente nella
guerra contro l'Irak di dieci anni fa, in quanto oggi a differenza
del 1991 il territorio del paese non risulta direttamente
minacciato. In realtà dietro questa spiegazione c'è essenzialmente
una questione di ordine politico, dato che l'uso delle basi
saudite per le incursioni contro il regime dei Talebani potrebbe
provocare delle proteste da parte dei gruppi fondamentalisti
ostili al regime, che considerano la presenza degli americani nel
paese nient'altro che un'offesa alla religione islamica.
E proprio su questo punterebbe bin Laden, su una soluzione di tipo
iraniano in grado allargare la protesta alla casa regnante saudita
fino a provocarne il crollo, dandogli così la possibilità di
rientrare nel paese ed instaurare a Riyadh un regime teocratico
ostile all'occidente e agli Stati Uniti. Uno scenario che
porterebbe in breve alla destabilizzazione dell'intera regione
mediorientale, visto che l'Arabia Saudita possiede le più
importanti riserve petrolifere mondiali ed ospita sul suo
territorio i luoghi santi islamici de La Mecca e Medina, sul cui
controllo si è fondato gran parte del potere e del prestigio della
famiglia reale saudita. Un crollo del regime di Riyadh causerebbe
quindi con molta probabilità anche la caduta degli altri regimi
arabi moderati, rovesciando, a favore degli integralisti, gli
equilibri politici in un'area vitale per gli interessi
occidentali. E' probabile tuttavia che il regime saudita, usando
anche una serie di equilibrismi politici, riesca a contenere
l'azione dei fondamentalisti. Ma è paradossale che proprio
l'Arabia Saudita e il Pakistan, due alleati chiave degli Stati
Uniti nella lotta al terrorismo, siano oggi i paesi dove è più
forte il peso degli integralisti islamici e dove è maggiore il
senso di ostilità verso gli americani.
12 ottobre
2001
rodolfobastianelli@tiscalinet.it
|