“Shangai come Yalta? No, però…”
intervista a Stefano Silvestri di Claudio Landi
Shangai. Fino a oggi era semplicemente la città cinese più vicina
al mercato mondiale. Ora potrebbe passare alla storia come il
luogo in cui ha visto la luce il nuovo ordine globale. I fatti: in
questi giorni Shangai è il centro del vertice dell’Apec,
l’Organizzazione di cooperazione economica dei paesi
dell’Asia-Pacifico. Sarebbe dovuto essere il normale summit di un
organismo di mera consultazione politica, senza alcun potere o
competenza formale, senza arte né parte nel mondo delle grandi
potenze. Invece gli avvenimenti di queste settimane, la guerra
della comunità internazionale contro il terrorismo, la nascita
della coalizione globale ne hanno fatto un evento importante. Che
è diventato ancora più importante quando il presidente americano
George W. Bush ha deciso di vedersi, proprio nella città della
Cina più aperta all’Occidente, con il presidente russo Vladimir
Putin, con il leader della Cina Popolare, Jiang Zemin e con i
primi ministri di Giappone e Austrialia, all’uopo convocati dallo
stesso Bush. Il vertice Apec si è così trasformato in una sorta di
super-vertice asiatico del nuovo ordine mondiale. Qualcuno ha
parlato di una nuova Yalta, ricordando la cittadina russa dove i
capi di governo delle potenze di un'altra coalizione mondiale,
quella contro il nazifascismo, decisero le sorti del mondo che
sarebbe uscito dalla Seconda Guerra Mondiale. Stavolta sul tappeto
ci sono ovviamente gli interessi reciproci della grandi potenze
asiatiche. Si sta ridefinendo l’assetto mondiale: la Russia si
schiera a fianco degli Stati Uniti, unica grande potenza (insieme
proprio all’America) presente sul teatro europeo e su quello
asiatico. La Cina (e in un futuro prossimo l’India) entra di
diritto nel club dei Grandi e due democrazie regionali, Giappone
ed Australia diventano gli alleati privilegiati degli Stati Uniti.
Cambiamenti di gran rilievo, dei quali abbiamo discusso con
Stefano Silvestri, presidente dello Iai, l’Istituto di Affari
Internazionali con sede a Roma.
Presidente, siamo di fronte ad una nuova Yalta?
No, non si può parlare di nuova Yalta poiché non c’è la conduzione
di una guerra mondiale di quel tipo. Però probabilmente questa è
l’occasione, per Bush, di rimettere un po’ d’ordine nella sua
strategia asiatica. Avevamo già osservato nei giorni scorsi un
cambiamento nella posizione dell’Amministrazione, inizialmente
contraria alla Cina. Questo cambiamento permette a Bush di
riprendere i contatti con la Cina in un quadro di stabilizzazione
dei rapporti con Russia e Giappone. Al vertice Apec infatti ci
sono anche Putin e Koizumi. Shangai è dunque una occasione per
Bush di lanciare un dialogo asiatico più sostanzioso, nel quale la
collaborazione contro il terrorismo è un elemento importante ma
non l’unico. Il dialogo dovrà necessariamente abbracciare altri
temi.
Se non si tratta di una nuova Yalta non è però riduttivo
considerare l’appuntamento di Shangai solo come un’occasione per
mettere un po’ d’ordine nella politica asiatica di Bush?
Certo non si tratta di cambiamenti di poco conto. Pensiamo che nel
frattempo gli Stati Uniti hanno ristabilito i contatti con
l’India. Sta evidentemente cambiando la politica asiatica degli
Usa. Certo non è Yalta, però la ridefinizione delle sfere di
interessi è sul tappeto. Può essere che questa sia un’ambizione
troppo ampia. Al momento c’è il tentativo di Bush di ristabilire
rapporti proficui con i paesi di quest’area, in chiave soprattutto
bilaterale. Anche se l’incontro è multilaterale. Nei confronti
dell’Asia, a mio avviso, vi erano stati alcuni errori iniziali da
parte dell’amministrazione repubblicana: la forte posizione
anti-cinese, l’incidente dell’aereo, la problematica delle armi
antimissile con la Russia, avevano portato a rapporti piuttosto
difficili. Adesso c’è l’occasione di riprendere un dialogo. Quindi
si capisce che Bush vada a Shangai.
Siamo di fronte ad un cambiamento profondo della strategia
mondiale dell’amministrazione Bush dopo l’11 settembre?
Sì, tutti i segnali indicano questa direzione. Io non ho mai
creduto che potesse funzionare una politica unilaterialista degli
Stati Uniti. Credo che ci fossero già nell’amministrazione Bush
forti voci contrarie, ma l’11 settembre ha fatto pendere la
bilancia a favore dei multilaterialisti. Diciamo i Colin Powell.
Non so ovviamente quanto tutto questo durerà.
19 ottobre
2001
appioclaudio@yahoo.com
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