| “La centralità asiatica e l’inconsistenza 
              europea” intervista a Carlo Pelanda di Claudio Landi
 
 Con Carlo Pelanda, docente di Economia e politica internazionale 
              presso il Center of the Study of Global Issues dell’Università 
              della Georgia, seguiamo le vicende della crisi internazionale fin 
              dal suo primo episodio: l’attacco all’America. Di settimana in 
              settimana abbiamo commentato i profondi cambiamenti avvenuti nelle 
              relazioni internazionali, il formarsi della Coalizione 
              antiterrorismo, lo scomporsi e il ricomporsi delle alleanze 
              americane. Gli chiediamo di aiutarci ad interpretare anche le 
              ultime vicende legate al vertice dell’Apec in svolgimento in Cina.
 
 Professore, sta venendo alla luce un “patto 
              di Shangai”?
  
              
              Nel viaggio di Bush ci sono alcune indicazioni molto interessanti: 
              la prima è che questo viaggio fornisce un segnale di forza. Il 
              vertice era ormai in agenda e la guerra non è stata in grado di 
              bloccarlo. Ma il punto chiave dell’incontro di Shangai è il 
              rapporto con i cinesi. La Cina non voleva inserire un’agenda di 
              tipo geostrategico in questo meeting. Pechino, infatti, vede 
              l’Apec come embrione di una organizzazione di sicurezza regionale, 
              perché ci sono di mezzo anche gli americani. Pechino preferirebbe 
              quindi aprire un dibattito sugli assetti della sicurezza in Asia 
              senza che gli Stati Uniti abbiano un ruolo troppo forte. 
              Evidentemente però gli americani hanno premuto molto e la Cina, 
              che ha il terrore di essere classificata in futuro come uno stato 
              nemico dell’Occidente, ha abbozzato. E questo spiega la natura 
              molto politica di questo vertice che invece all’inizio doveva 
              essere più di routine.
 Che indicazioni si possono trarre allora da 
              questa nuova svolta?
  
              
              L’impero si è messo in moto. Ha di fronte vari fronti: asiatico, 
              centro-asiatico, arabo ed europeo. L’impero sta attuando in 
              ciascuna di queste regioni politiche che in primo luogo possano 
              fornire agli Stati Uniti la legittimazione e la forza politica per 
              poter agire e ovviamente per difendere i propri interessi. E’ 
              l’impero che sta sviluppando tutto il suo potere.
 Una reazione al caos internazionale?
  
              
              Più o meno. L’impero sta riorganizzando le fila di un assetto 
              mondiale che stava diventando ingovernabile: la guerra al 
              terrorismo dà agli Stati Uniti la legittimazione per agire in 
              questa direzione. Tale riorganizzazione sta avvenendo nel quadro 
              della tutela degli interessi americani, ma in una cornice 
              “multilaterale”, di coalizione internazionale. Bush però aveva 
              iniziato il suo mandato presidenziale con un approccio piuttosto 
              diverso, “unilatelarista”. La guerra al terrorismo ha imposto una 
              strategia diversa che ora l’Amministrazione sta dispiegando a 
              tutto campo.
 E in tutto questo l’Europa che fine fa?
  
              
              L’Europa non esiste.
 19 ottobre
              2001
 
 appioclaudio@yahoo.com
  
              
              
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