Laos, cinque urla dal silenzio
di Barbara Mennitti
I radicali sono fatti così. Cinque anni fa manifestavano con il
burqa per i diritti delle donne afghane. E tutti facevano
spallucce. Oggi cinque di loro si sono fatti arrestare nella
Repubblica Popolare del Laos, regime comunista, monopartitico,
dove i diritti civili sono cosa ignota. E tutti alzano gli occhi
al cielo: “Ci mancava anche il Laos adesso”. Eppure forse qualcuno
un giorno dovrà ringraziare il coraggio di questi cinque ragazzi
radicali, che sfidando la paura e il pericolo, sono andati a
manifestare da veri nonviolenti (no-global di tutto il mondo,
imparate) per la democrazia in questo paese asiatico così lontano
dal nostro.
Due anni fa, il 26 ottobre del 1999, un gruppo di studenti,
insegnanti e cittadini laotiani manifestava pacificamente nella
capitale, Vientiane, chiedendo libertà, democrazia e giustizia.
Cinque degli organizzatori vennero arrestati e incarcerati. Da
allora nessuno ha più saputo niente di loro: i capi di imputazione
non sono mai stati resi pubblici, non c’è mai stato un processo.
Semplicemente spariti nel nulla.
Due anni dopo, il 26 ottobre del 2001, Olivier Dupuis, cittadino
belga, europarlamentare eletto in Italia e segretario del Partito
Radicale, Bruno Mellano, consigliere regionale del Piemonte,
Silvja Manzi, Massimo Lensi e Nikolai Kramov, militanti radicali,
hanno inscenato la stessa manifestazione per le strade di
Ventiane, con gli stessi volantini che chiedevano libertà e
democrazia. Anche loro sono stati arrestati. Dopo quattro giorni
di silenzio assoluto, il ministro degli Esteri laotiano ha
annunciato che i cinque sono accusati di attentato all’ordine
costituzionale dello stato e rischiano da uno a cinque anni di
carcere e ha ritenuto che fosse anche l’occasione giusta per
ribadire che “i laotiani vivono nella libertà e nella democrazia”.
I cinque militanti radicali chiedono un “giusto processo”,
chiedono di poter nominare degli avvocati e che le stesse
procedure siano applicate ai cinque studenti arrestati due anni
fa. Se sono ancora vivi.
Ma da ormai cinque giorni nessuno ha più avuto notizie dei cinque
ragazzi radicali. Nè il diplomatico italiano arrivato da Bangkok
(il nostro paese non ha una rappresentanza nel Laos), né i
diplomatici francesi e belgi sono riusciti a vedere o a parlare
con i radicali arrestati. Fonti della Farnesina assicurano che i
cinque sono detenuti in un commissariato e che stanno bene ma
nessuno ha potuto verifare queste notizie. Secondo il quotidiano
tailandese “the Nation”, inoltre, il Laos non avrebbe “subito
alcuna pressione dai diplomatici europei sulla questione”. E dire
che l’Unione Europea ha un accordo di cooperazione con la
Repubblica Popolare del Laos che prevede come conditio sine qua
non il rispetto dei diritti civili. Carta straccia, a quanto pare.
Nel frattempo a Ventiane la notizia si sta diffondendo, nonostante
la censura governativa. Lo conferma un’e-mail arrivata al
quotidiano Ventiane Times da un anonimo studente laotiano: “Ci
sono molti studenti che vogliono unirsi alla lotta ma noi abbiamo
bisogno dell’aiuto degli altri paesi. Non dovremmo essere lasciati
a combattere da soli. Spero con fiducia che quegli attivisti siano
rilasciati al più presto”. Come detto, forse presto qualcuno dovrà
ringraziare questi cinque ragazzi radicali.
1 novembre
2001
bamennitti@ideazione.com
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