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            | Edward Said, la questione palestinese 
              vista dagli arabi di Karim Mezran
 
 Alleghiamo in questa sezione la versione in lingua originale 
              dell’ultimo articolo di Edward Said apparso sulla edizione 
              settimanale del quotidiano egiziano Al Ahram. Ci sembra importante 
              presentare ai nostri lettori il punto di vista, sempre originale e 
              controcorrente, di questo noto scrittore e saggista palestinese, 
              sulla questione islamica e sui rapporti tra israeliani ed arabi, 
              che pur non essendo mai usciti dalla attualità si sono, di nuovo, 
              prepotentemente portati alla ribalta dopo i fatti dell’11 
              settembre.
 
 Edward Said è nato a Gerusalemme nel 1935 da una famiglia 
              cristiano-palestinese. Dopo un’infanzia passata tra la Palestina, 
              il Libano e l’Egitto, si è trasferito negli Stati Uniti, dove si è 
              laureato all’Università di Princeton. E’ stato membro del 
              Consiglio nazionale palestinese dal 1977 al 1991, anno in cui gli 
              è stata diagnosticata una forma di leucemia. Deciso avversario 
              dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e della striscia di 
              Gaza, ha espresso una forte ostilità verso il processo di pace in 
              Medio Oriente così come era venuto delineandosi a Oslo e assunto 
              posizioni critiche nei confronti di Arafat e della dirigenza 
              dell’Olp. Musicologo, saggista e critico letterario, insegna 
              letteratura inglese comparata alla Columbia University di New York 
              e collabora regolarmente con numerosi giornali statunitensi e 
              arabi. E’ autore di vari saggi, alcuni dei quali pubblicati anche 
              in Italia: Orientalismo (Feltrinelli 1999); Questione palestinese. 
              La tragedia di essere vittima delle vittime (Gamberetti 1995); 
              Dire la verità. Gli intellettuali ed il potere (Feltrinelli 1995); 
              Tra guerra e pace. Ritorno in Palestina-Israele (Feltrinelli, 
              1998); Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto 
              coloniale dell’Occidente (Gamberetti 1998).
 
 Nell’articolo che vi proponiamo nel link al lato, Said ripropone 
              con enfasi la questione palestinese come centrale e prodromica 
              alla questione islamica, rintuzzando i maldestri tentativi di 
              scindere le due. L’autore riconosce all’amministrazione Bush ed al 
              suo ministro degli esteri Colin Powell il merito di aver capito 
              questo concetto. L’incognita resta però sul metodo che sarà 
              adottato per cercarne una soluzione che vada ben al di là degli 
              accordi di Oslo che Said ha sempre considerato come nulla più che 
              una resa incondizionata. Ma Said non volge il dito accusatore solo 
              contro gli israeliani. Secondo lui la colpa principale la hanno i 
              governanti arabi, i leaders di regimi corrotti, antiquati e 
              repressivi. Punta il dito contro il lusso di cui si circondano che 
              contrasta terribilmente con la povertà e la miseria delle strade 
              Nablus, Jenin, Hebron, e poi Il Cairo, Algeri e così via. Accusa 
              la dura repressione che fa scomparire ogni anno decine di 
              giornalisti, avvocati e oppositori in genere. Accusa il sistema 
              scolastico, obsoleto, destrutturato, frammentato, che fagocita 
              solo ignoranza e privilegia la mancanza di ogni spirito critico. 
              Da questa scuola possono solo uscire giovani senza speranza e 
              pertanto facili prede di speculatori e manipolatori di ogni razza 
              e religione.
 
 Questo, più che rabbia e disperazione, più che una propensione 
              patologica alla criminalità è la causa che mette in moto la 
              lucidità del kamikaze. Pensare che i kamikaze siano pazzi, 
              repressi o criminali patologici è sicuramente un errore, c’è ben 
              altro. Said compie anche una esatta analisi della situazione nel 
              campo israeliano e cita fonti comprovanti l’enorme aumento delle 
              colonie, i vasti finanziamenti che permottono l’espropriazione 
              delle terre palestinesi, l’incondizionato aiuto americano ad una 
              politica che parla di pace mentre fa la guerra. Le radici 
              dell’odio antiamericano sono, secondo lo scrittore palestinese, 
              proprio nella percezione delle masse che, se da un lato si 
              predicano pace, democrazia e libertà dall’altro si pratica 
              l’esatto opposto. L’autore conclude questo importante articolo con 
              alcune proposte. Israele deve ritirarsi dai territori occupati, 
              inclusa Gerusalemme, e, come affermato dal rapporto Mitchell, deve 
              smantellare tutte le colonie. Uno stato palestinese, sovrano, 
              libero deve essere stabilito e riconosciuto da tutti i paesi del 
              mondo. Questi obiettivi devono essere stabiliti come i traguardi 
              di qualunque negoziato. E’ una lucida analisi, cruda e realista ma 
              non priva di un sentimento di speranza. Speranza che la ragione e 
              la compassione umana vincano sulle ragioni della prepotenza e 
              della violenza.
  
              
              1 novembre
              2001
 
  
              
              
 
 
 
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