| Processati ed espulsi. Ma ora il regime è 
              sotto i riflettori di Barbara Mennitti
 
 Calmi e sollevati. E finalmente liberi. Olivier Dupuis, Silvja 
              Manzi, Massimo Lenzi, Bruno Mellano e Nikolaj Khramov, i cinque 
              esponenti del Partito radicale transnazionale arrestati in Laos 
              per aver manifestato a favore della democrazia e dei diritti 
              civili, sono liberi. In appena tre ore sono stati processati e 
              condannati dal tribunale di Ventiane a due anni di carcere con la 
              condizionale, e a pagare ciascuno un'ammenda di 2 milioni di kip, 
              la valuta locale (circa 230 dollari). Contemporaneamente, in base 
              all'articolo 26 del codice penale laotiano, i giudici ne hanno 
              ordinato l'immediata espulsione dal paese. Si conclude così una 
              vicenda iniziata lo scorso 26 ottobre e per la quale, nei giorni 
              immediatamente successivi all’arresto, si era temuto il peggio. 
              Resta invece avvolta nel mistero la sorte degli altri cinque 
              dimostranti laotiani che erano stati arrestati per la stessa 
              motivazione due anni fa. La loro vicenda aveva fatto scattare la 
              protesta degli esponenti radicali, uno dei quali, il belga Dupuis, 
              parlamentare europeo.
 
 Le aspettative del sottosegretario agli Esteri del governo 
              italiano, Margherita Boniver, recatasi a Ventiane per sbloccare la 
              situazione, sono state dunque rispettate. Già nella mattinata di 
              giovedì si erano diffuse sensazioni improntate all’ottimismo dopo 
              che le autorità laotiane avevano annunciato finalmente l’inizio 
              del processo: "Noi speriamo che ciò significhi un processo lampo e 
              quindi l'espulsione", aveva detto la Boniver ai microfoni di Radio 
              Radicale. Il lavoro diplomatico è stato intenso, soprattutto dopo 
              che le prime, blande rimostranze dell’Unione Europea e del governo 
              italiano erano cadute nel vuoto. Poi, l’accelerazione degli ultimi 
              giorni, con la partenza per il Laos del sottosegretario e 
              soprattutto una più decisa presa di posizione del presidente della 
              Commissione europea Romano Prodi. Dupuis è membro del parlamento 
              europeo e l’Europa aveva molte possibilità di incidere sul governo 
              laotiano, dati i rapporti economici che si sviluppano tra le due 
              aree geografiche. Fino ad allora le fila dei rapporti diplomatici 
              sul luogo, complicati dalla momentanea assenza del presidente 
              della Repubblica laotiana e dal fatto che il nostro paese non ha 
              una rappresentanza diplomatica nel Laos, erano state tenute da 
              Stefano Starace Janfolla, l'ambasciatore italiano a Bangkok.
 
 Proprio Starace aveva dato le prime notizie sull'incolumità e 
              sulla prigionia dei cinque radicali, parlando di condizioni 
              "durissime". I cinque, infatti, sono stati detenuti in una vera e 
              propria prigione, hanno dormito per terra in celle separate, senza 
              coperte e senza la possibilità di comunicare fra loro. Non hanno 
              avuto accesso ai medicinali, né ai disinfettanti per l'acqua e non 
              hanno potuto acquistare cibo conservabile.
 
 Conclusasi dunque la vicenda dei cinque esponenti politici 
              europei, resta in piedi la questione di fondo che aveva mosso 
              l’iniziativa radicale: la grave situazione dei diritti civili e 
              della democrazia in Laos e in altre regioni dell’Asia che si 
              stanno affacciando ai commerci internazionali. Le relazioni dei 
              nostri paesi con questi regimi possono prescindere dalla richiesta 
              di rispetto delle regole fondanti della democrazia? I radicali 
              hanno avviato una battaglia in maniera talmente clamorosa 
              (l’arresto di propri iscritti) che sarà difficile che il tema non 
              entri nell’agenda politica dei prossimi mesi. Per il momento, in 
              concomitanza con l’avvio del processo-lampo, si era conclusa anche 
              la prima grande “protesta collaterale” fatta in Italia, quella del 
              Satyagraha radicale, che aveva coinvolto 272 cittadini, fra cui 
              diverse personalità, entrati in digiuno per dimostrare la loro 
              solidarietà con i cinque militanti arrestati. Adesso, restituita 
              la libertà a Dupuis e ai suoi, l’obiettivo immediato è di 
              mantenere forte la pressione politica sul regime di Vientiane e 
              richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale 
              sulla scomparsa dei cinque manifestanti laotiani che chiedevano 
              democrazia per il loro paese. "Non possiamo amputare l’iniziativa 
              dei nostri militanti - ha affermato a Radio radicale Marco 
              Pannella - bisogna garantire che anche la sorte dei cinque 
              scomparsi laotiani venga alla luce".
 
 9 novembre
              2001
 
 bamennitti@ideazione.com
  
              
              
 
 
 |