“Il Laos ci ha chiesto di non
dimenticare”
di Barbara Mennitti
Finalmente rilassati, i cinque militanti radicali appena tornati
dai dodici giorni di prigionia nel Laos, stretti dall’abbraccio e
dall’affetto dei loro compagni, raccontano ai giornalisti la loro
esperienza. Quello che hanno visto, quello che hanno subito, i
momenti di sconforto. Qualcuno è visibilmente provato, qualcuno
mantiene lo spirito forte e fiero ma tutti appaiono comunque molto
soddisfatti. Sorridono gli occhi di Olivier Dupuis,
europarlamentare con una lunga esperienza nel campo delle azioni
di protesta non violente, mentre fa il punto della situazione. “La
conquista principale di questa azione - spiega - è che fino ad ora
i cinque studenti laotiani arrestati due anni fa erano dei
desaparecido. Ora non lo sono più. Ora si parla di loro.” Dupuis
definisce il sistema del Laos “cleptocomunismo” e in parte
“narcocomunismo” di stampo stalinista. Uno stato di polizia con un
livello di corruzione inimmaginabile, dove tutto si compra e tutto
si vende. La situazione dei diritti umani, sempre secondo Dupuis,
non è neanche paragonabile a quella, pur difficile, di paesi come
la Cina e il Vietnam.
Drammatico per tutti e cinque i militanti il ricordo dell’arresto
e degli interrogatori. Dupuis e Lenzi sono stati arrestati da un
gruppo di giovani universitari aderenti al partito (una cosa che
richiama alla mente tristi pratiche della Cina maoista) mentre
Manzi, Mellano e Khramov sono stati fermati da altri giovani
poliziotti mentre inscenavano un’altra manifestazione. Durante gli
interrogatori Mellano e Khramov hanno subito violenze di non grave
entità (spintoni, calci, testa sbattuta contro il muro) ma tutti
sottolineano di aver avuto un trattamento di riguardo in quanto
occidentali. Durante la durissima prigionia i militanti radicali
sono riusciti, nonostante l’isolamento, ad entrare in contatto con
altri detenuti politici e a raccogliere storie di abusi e
disperazione. Persone imprigionate in seguito a semplici sospetti
o discendenze etniche, detenute da decine di anni senza mai aver
conosciuto la loro imputazione o essere stati processati. Vi sono
detenuti che hanno scontato la pena e non possono uscire dal
carcere perché non hanno i soldi per pagare la tassa di
scarcerazione, equivalente a tre dollari. “Quando siamo usciti dal
carcere - ha raccontato Silvya Manzi - gli altri detenuti ci hanno
chiesto di non dimenticare. E noi non li dimenticheremo”.
E’ necessario che l’Unione Europea, che intrattiene accordi di
cooperazione vincolati dal rispetto dei diritti civili con il Laos
e altri paesi in condizioni simili, inizi a verificare che questi
accordi vengano effettivamente osservati, per evitare di sostenere
economicamente questi regimi liberticidi. “Riteniamo che sia
venuto il momento di impegnarci - ha dichiarato Emma Bonino - per
la costruzione di quel progetto visionario che è l’Organizzazione
Mondiale delle Democrazie”. Ed è necessario trovare la forza e le
energie per organizzare altre iniziative di questo tipo. Un
particolare curioso e anche un po’ inquietante. il
ragazzo-poliziotto che ha arrestato Silvya Manzi, indossava una
maglietta dell’Undcp, l’agenzia delle Nazioni Unite per la lotta
alla droga di cui è presidente Pino Arlacchi, che recentemente ha
elargito al Laos quindici milioni di dollari. Coincidenze?
12 novembre
2001
bamennitti@ideazione.com
|