Afghanistan, un futuro diviso in due?
di Rodolfo Bastianelli
Quali saranno gli obiettivi dell'operazione "Enduring Freedom" e
quali risultati concreti porterà nella lotta al terrorismo. Questi
interrogativi da qualche giorno riempiono le pagine dei quotidiani
americani, che cominciano a sottolineare le difficoltà a cui
l'intervento in Afghanistan sta andando incontro. Sul piano
militare infatti l'operazione contro il regime dei talebani sembra
essere più complessa del previsto, sia per il fatto che in un
terreno come quello afgano i bombardamenti hanno scarsa efficacia
sia perché in un paese devastato da oltre venti anni di guerra gli
obiettivi di valore strategico da colpire sono veramente pochi. Di
fatto quello in Afghanistan è un conflitto a bassa intensità,
combattuto in prima linea da eserciti composti da milizie
irregolari, dove diviene fondamentale non tanto la distruzione dei
centri di comando e controllo per mezzo degli attacchi aerei ma la
conquista del territorio, da effettuare all'interno di un paese
che sotto certi aspetti non è molto diverso da quello che due
secoli fa si presentò davanti ai soldati britannici.
Ma è soprattutto dal lato politico che l'azione decisa da Bush
sembra incontrare le maggiori difficoltà. L'opposizione al regime
di Kabul, l'Alleanza del Nord, che tuttora rappresenta il governo
internazionalmente riconosciuto del paese, è composta in gran
parte da tagiki ed uzbeki e solo per una minima parte da pashtun,
etnia maggioritaria in Afghanistan e dalle cui fila provengono i
talebani. Proprio per questo, come ha più volte ricordato
l'amministrazione americana, il nuovo governo afgano non sarà
formato solo dell'Alleanza ma al contrario dovrà essere allargato
a tutte le componenti etniche e politiche del paese, una scelta
questa decisa anche per rafforzare il presidente pakistano
Musharaff che dall'inizio del conflitto deve fronteggiare
l'opposizione da parte degli integralisti islamici e degli
appartenenti all'etnia pashtun presenti in Pakistan.
A complicare il quadro contribuiscono poi sia le divisioni tra le
forze politiche afgane, quasi tutte composte su base tribale o
personale, che la difficoltà di rompere l'unità del regime
talebano e di trovare quindi validi interlocutori tra gli
esponenti dell'etnia pashtun. Lo stesso ruolo dell'ex re Zahir
Shah, pur se apprezzato da quasi tutti i gruppi dell'opposizione,
potrebbe così non essere in grado di tenere insieme un'alleanza
composta da forze diverse e che più volte in passato si sono
combattute tra loro. E in questo scenario, secondo alcuni
osservatori, non è da escludere la prospettiva di una divisione
dell'Afghanistan in due diversi stati, uno al nord formato dalle
popolazioni tagike ed uzbeke e l'altro nel sud che comprenda
invece gli appartenenti all'etnia pashtun, una soluzione che in
fin dei conti potrebbe anche soddisfare i diversi paesi della
regione. Da un lato Mosca potrebbe contare su uno stato-cuscinetto
in grado di contenere le infiltrazioni islamiche all'interno delle
repubbliche centroasiatiche, dall'altro il Pakistan continuerebbe
ad avere alle sue frontiere ed a mantenere i legami con un entità
statale espressione dell'etnia pashtun.
Ma anche quando gli Stati Uniti saranno venuti a capo della
questione afgana, il problema del terrorismo non potrà certo dirsi
risolto. Nella lista compilata dal Dipartimento di Stato tra i
paesi accusati di sostenere il terrorismo figurano infatti anche
Irak, Siria ed Iran. E' possibile che questi possano diventare i
prossimi obiettivi dell'azione militare americana? Per l'Irak non
si può escludere, ma Washington in questo caso non dispone né di
un'alternativa a Saddam Hussein né di un'opposizione interna da
sobillare contro il regime iracheno, senza contare che
un'eventuale azione contro Baghdad potrebbe avere delle
ripercussioni nei rapporti tra gli Stati Uniti e gli altri paesi
arabi. Verso la Siria, ma soprattutto verso l'Iran, è probabile
che Washington tenti invece un'apertura diplomatica. Dagli
attentati dell'11 settembre gli Stati Uniti hanno inviato a
Teheran diversi segnali di apertura, anche se per il momento un
effettivo disgelo tra i due paesi sembra lontano. Il futuro delle
relazioni tra l'Iran e gli Stati Uniti dipende in gran parte da
come si evolverà la situazione politica iraniana e quale delle due
correnti interne al regime finirà per prevalere. L'unica cosa
certa al momento è che la guerra avrà tempi lunghi. "Ci vorranno
due o tre anni per sconfiggere il terrorismo", ha detto Bush
all'inizio dell'azione contro l'Afghanistan. Se raggiungerà
l'obiettivo il presidente, che era stato eletto grazie ad un pugno
di schede forse non conteggiate in Florida, si sarà guadagnato un
posto di primo piano nella storia americana.
9 novembre
2001
rodolfo.bastianelli@tiscalinet.it
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